La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16507 del 2 luglio 2013, ha stabilito che non è corretto assegnare, sulla base della contrattazione collettiva, all'assenza ingiustificata del lavoratore - che non rientra in servizio al termine del periodo d'aspettativa - il valore di manifestazione per facta concludentia di rassegnare le dimissioni.
La Suprema Corte, nell'esaminare il caso, richiama un risalente contrasto nella giurisprudenza segnato "per un verso dalla sentenza
Dando continuità giuridica al primo dei citati orientamenti, il Collegio ha altresì precisato che "alle parti non è consentito di attribuire a determinati comportamenti del lavoratore il valore ed il significato negoziale di manifestazione implicita o per facta concludentia della volontà di dimettersi, senza possibilità di prova contraria. In tale ipotesi, invero, non si tratterebbe più di dimissioni manifestate per facta concludentia - le quali presuppongono una volontà effettiva di dimettersi e la manifestazione di essa seppure in forma diversa dalla dichiarazione esplicita - ma della attribuzion convenzionale di un determinato effetto giuridico - la cessazione del rapporto - ad un determinato comportamento. Tanto le parti collettive non possono stabilire, atteso che il rapporto di lavoro può, in base al nostro ordinamento giuridico, estinguersi esclusivamente per le cause a tal fine previste dalla legge e non è permesso alle parti introdurre altre cause di estinzione del rapporto. Diversamente, tutta la disciplina legislativa limitativa dei licenziamenti, che ha progressivamente allontanato il rapporto di lavoro dagli ordinari principi sull'estinzione dei rapporti obbligatori, sarebbe inutiliter data."
Del resto - precisano i giudici di legittimità - l'assenza ingiustificata e protratta oltre un certo termine può essere assunta, in sede di contrattazione collettiva o individuale del rapporto di lavoro privato, quale causa di scioglimento del rapporto di lavoro, soltanto considerandola quale sanzione disciplinare, necessariamente preceduta dalle garanzie procedimentali previste nei primi tre commi dell'art. 7 L. 20 maggio 1970 n. 300.
Cassata dunque la sentenza dei giudici di merito che avevano rigettato la domanda di una lavoratrice proposta nei confronti della Società datrice di lavoro avente ad oggetto l'impugnazione della comunicazione con la quale la Società le rendeva noto che, non essendo rientrata in servizio al termine del periodo d'aspettativa, il rapporto di lavoro s'intendeva risolto per dimissioni ai sensi degli artt. 34 e 75 del CCNL del 2003.
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