La Corte di Cassazione, sezione I civile, con sentenza n. 16829 del 5 luglio 2013 ha stabilito che è possibile estendere il fallimento di un imprenditore commerciale a sua moglie se quest'ultima si era fatta garante della società sottoscrivendo fideiussioni e concedendo una garanzia ipotecaria su metà quota delle proprietà immobiliari in comproprietà con il marito.
Il Tribunale di Catania ha deliberato il fallimento della società di fatto istituita tra il proprietario e la sua consorte con sentenza datata 12 dicembre 1997 adducendo che il coniuge si dovesse considerare socio illimitatamente responsabile. La Corte d'Appello rigettava poi il gravame e il caso finiva quindi dinanzi alla Corte di Cassazione.
Nel ricorso si denunciava violazione all'articolo 147 l. fallimentare ed un vizio di motivazione si sottoponevano inoltre all'esame della Corte due quesiti ovvero se fosse ammissibile estendere il fallimento aziendale anche alla moglie per il solo fatto di aver sottoscritto fideiussioni, garanzie ipotecarie ed avere conti correnti cointestati dato che tutto ciò è motivato da affetto e solidarietà coniugale e se l'aver compiuto tali atti finalizzati a portare aiuto economico e finanziario al marito potevano essere considerate idonee giustificazioni per dichiarare anche il suo fallimento. Nel ricorso denunciava anche violazione dell'articolo 230-bis del codice civile e riferendosi all'articolo 366 bis c.p.c. domandava se l'aver prestato il suo nome per aiutare l'impresa familiare ad uscire dalla crisi economica fosse un valido argomento per estende il fallimento anche a lei che era considerata collaboratore aziendale. Chiedeva ancora di tener conto del fatto che l'aver firmato garanzie a tutela dell'impresa era stata una decisione dettata da solidarietà coniugale.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso confermando così le statuizioni dei giudici di merito.
E' corretto infatti l'accertamento di costituzione di società di fatto tra coniugi. La Corte ricorda che l'estensione del fallimento al familiare del titolare deve essere comprovato dalla reale esistenza di società di fatto mediante la valutazione degli atti svolti dal familiare stesso, che non è fondamentale che quest'ultimo venga considerato collaboratore e che la partecipazione e la spartizione degli utili percepiti non è elemento di rilievo utile a tale scopo.
Le prove a conferma dell'esistenza di questo tipo di società sono state riscontrabili nella condotta assunta dal collaboratore nel mantenere rapporti estranei all'azienda. Sono stati sufficienti per dimistrare l'esistenza di una società di fatto i comportamenti della moglie che è risultata coinvolta nell'attività aziendale. A prova di ciò sono risultati i suoi impegni solidali, le fideiussioni, la sottoscrizione di garanzia ipotecaria e la cointestazione di tre conti correnti con il titolare aziendale.
La Corte ha inoltre ribadito che l'intervento economico e fiscale della moglie ha evidenziato un contegno tale che ha rafforzato e confermato l'esistenza di una società di fatto. In considerazione che questo tipo di società costituita tra consanguinei richiedere prove inconfutabili e rigorose di esteriorizzazione del vincolo, ha valutato gli impegni assunti dalla consorte come una concreta esteriorizzazione del vincolo. I conti correnti cointestati ed usati per svolgere le normali attività aziendali, le fideiussioni firmate a garanzia dalla ricorrente, gli immobili utilizzati per l'attività ed intestati ad entrambi i coniugi, la stipula di un'ipoteca e la collaborazione alla normale attività imprenditoriale sono indice inequivocabile dell'esistenza di una società di fatto.
la Corte ha ulteriormente rimarcato che gli atti compiuti della consorte del titolare hanno escluso il suo intervento come dettato esclusivamente da solidarietà familiare arrivando a considerarli atti imparziali. I pagamenti ed i finanziamenti da lei effettuati sono stati considerati neutrali al fine della decisione giudiziale. I Giudici ha anche fatto notare che il contratto di conto corrente aperto e firmato da entrambi i coniugi riportava sia il nominativo dell'azienda che quello dalla moglie del titolare e che il contratto di fideiussione risultava intestato ai due coniugi con la dicitura di società di fatto.