di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 17094 del 10 Luglio 2013. I rapporti tra autorità civile italiana e diritto canonico sono regolati dai Patti Lateranensi, successivamente revisionati dai c.d. accordi di Villa Madama del 1984 (recepito nel nostro ordinamento attraverso la L. 121/1985). Se non è più prevista una riserva assoluta di giurisdizione in materia matrimoniale a favore dell'ordinamento ecclesiastico è anche vero che l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale attuale è quello di trattare le sentenze emesse dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in tema di nullità di matrimonio canonico come una sentenza emessa da organo giudicante straniero, dunque sottoposta al procedimento di delibazione innanzi la Corte d'Appello, al fine di determinarne gli effetti civili nell'ordinamento italiano. Avverso la statuizione della Corte d'Appello (di delibazione o rigetto) è possibile esperire il solo ricorso in Cassazione e solo ex co1 art. 360 c.p.c. (soli motivi di giurisdizione).
Nel caso in oggetto la Suprema Corte evidenzia come, intervenendo delibazione di sentenza
ecclesiastica di nullità di matrimonio in pendenza di procedimento di separazione giudiziale, decadono tutti gli effetti del matrimonio stesso (salvo quelli a favore della prole: c.d. "matrimonio putativo"); in sostanza, è come se lo stesso non fosse mai stato celebrato. Di conseguenza, salvo diversa statuizione del giudice del merito - il quale può prevedere, ai sensi degli artt. 129 e 129bis cod. civ. la corresponsione di somme periodiche di denaro, in ogni caso per un periodo non superiore ai tre anni - vengono a mancare anche i presupposti per l'addebito della separazione: gli ex coniugi cessano di essere tali e con tale pronuncia vengono meno tutti i rispettivi diritti ed obblighi sorgenti anche a seguito di separazione personale. Il ricorso in Cassazione è inammissibile per cessazione della materia del contendere.Vai al testo della sentenza 17094/2013