di Antonella Aloia e Rossella Guaragna - Nel coacervo di novità introdotte dal recentissimo d.l. 69/2013, meglio conosciuto come Decreto del  Fare, non poteva non smuovere gli animi l'ennesimo tentativo dell'Esecutivo di "responsabilizzare" l'operato della pubblica amministrazione.

Il riferimento è dato dall'art. 28 del decreto legge, a tenore del quale, a fronte di un ritardo della pubblica amministrazione nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi, nascerebbe l'obbligo di indennizzare gli imprenditori in attesa del fatidico responso, per un importo che va da un minimo di € 30,00 sino ad un massimo di € 2.000,00.

Si badi, si tratta ancora di una fase di monitoraggio di diciotto mesi pensata come palliativo alle esigenze economiche dell'imprenditoria italiana duramente colpita dalla crisi.

L'interrogativo di fondo è il seguente: quando scatta tale indennizzo e in quale rapporto si pone con la tutela risarcitoria ex art. 2, comma 1, l. 241/1990?

Orbene, tale indennizzo sarebbe dovuto una volta scaduti i termini fisiologici per la conclusione del procedimento. Sarà pertanto l'interessato a dover attivare il potere sostitutivo, sia per ottenere l'emanazione del provvedimento  - ammesso che la p.a. si scomodi ad emetterlo! - sia per ottenere l'indennizzo richiesto. A fronte di una ulteriore inerzia del funzionario titolare del potere sostitutivo, l'istante potrà decidere di attivare lo strumento giurisdizionale previsto ex art. 117 c.p.a. nel quale può confluire la richiesta di indennizzo.

Dal tenore della norma, sembrerebbe che il diritto all'indennizzo sia ancorato alla proposizione dell'azione avverso il silenzio. In senso contrario, si dovrebbe affermare la possibilità di proporre un'autonoma istanza di indennizzo al pari dell'autonoma azione di condanna al risarcimento del danno ex art. 30, comma 4, c.p.a.

Seguendo questo filone interpretativo, automaticamente si esclude la sussistenza di una pregiudiziale intesa quale necessità del previo esperimento dell'azione avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a. (in mancanza di un espresso provvedimento della p.a.) ovvero dell'azione di annullamento in caso di provvedimento tardivo sfavorevole.

Nulla quaestio, invece, in presenza di un provvedimento tardivo favorevole, dal momento che il privato non avrebbe alcun interesse ad ottenere l'annullamento del provvedimento,  considerato che la spettanza del bene finale della vita -  condicio sine qua non del risarcimento - emerge ictu oculi dal contenuto positivo dell'atto della p.a. (Sticchi Damiani, "Danno da ritardo e pregiudiziale amministrativa").

A quanto pare, si prospettano due possibilità di scelta per l'interessato: una tutela amministrativo-stragiudiziale attraverso l'attivazione del potere sostitutivo in capo al funzionario individuato dall'organo di governo ex art. 2, commi 9bis, 9ter l. proc.amm., ovvero una tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo.

Ed è proprio qui che emerge la ratio della norma: predisporre una corsia preferenziale costituita dalla tutela amministrativa, sicuramente più snella e "semplificata" rispetto a quella puramente giurisdizionale, destinata ad  assurgere ad extrema ratio di cui il privato può avvalersi.

Ancora. Qualora l'interessato decida di invocare in via diretta la tutela giurisdizionale con ricorso ex art. 30 c.p.a., bypassando così la fase sostitutiva, si integrerebbero i presupposti per un concorso colposo ex art. 1227 c.c. con la p.a.?

A tal fine, risolutiva di qualsiasi dubbio, è la pronuncia n. 684/2011 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, con la quale si è negato che ciò configurasse un comportamento colposo del privato. Del pari, lo stesso principio dovrebbe trovare applicazione in via analogica anche nell'ipotesi in cui il soggetto interessato ad ottenere l'indennizzo, decida di non attivare il potere sostitutivo bensì di invocare direttamente la tutela giurisdizionale ex art. 117 c.p.a.

Attenzione. Non sfugga la fondamentale aggiunta del comma 2, operata dall'art. 28 d.l. 69/2013 all'art. 2bis l. proc. amm., con la quale si introduce il diritto all'indennizzo - unitamente al risarcimento del danno - per il mero ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, unicamente per i procedimenti ad istanza di parte per i quali sussiste l'obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici. Nel qual caso vengano accordati entrambi, l'importo dell'indennizzo dovrà essere detratto da quello riconosciuto per il risarcimento del danno.

Dunque, per rispondere all'interrogativo iniziale circa il rapporto intercorrente tra risarcimento e indennizzo, occorre considerare che: a) il risarcimento del danno da ritardo è dovuto nelle ipotesi di perdurante inerzia della p.a.; b) il diritto all'indennizzo è dovuto per quei procedimenti amministrativi attivati su iniziativa d'ufficio nonché su iniziativa di parte esclusi dal meccanismo del silenzio qualificato. E' evidente che si tratta di un ambito di applicazione estremamente più ristretto rispetto a quello che la norma lascerebbe presagire.

E sotto il profilo della responsabilità?

Dalla lettura dell'art. 2, comma 9, l. proc. amm., si rinviene una responsabilità amministrativo-contabile del dirigente e del responsabile del procedimento, che abbiano cagionato un ritardo nell'emanazione del provvedimento dovuto. In caso di ulteriore ritardo nella fase susseguente, la responsabilità dovrebbe ricadere sul nuovo responsabile del procedimento ovvero sul soggetto titolare del potere sostitutivo.

E' proprio questo il punto: l'incertezza della norma reca con se uno strascico di perplessità laddove non si riesca a comprendere se tale responsabilità, in fase successiva, sia da ascrivere solo ed esclusivamente al responsabile protagonista della medesima fase, o in aggiunta, anche al responsabile della prima fase "ordinaria".

Un dato è certo: il danno erariale arrecato dai dipendenti alla p.a. dovrà essere poi deciso in sede di contenzioso dinanzi alla Corte dei Conti.

A ben vedere, ci troviamo difronte ad un vero e proprio circolo vizioso: p.a. che causa un danno agli imprenditori; funzionari che a loro volta, con il loro operato, arrecano un danno alla p.a.; imprenditori  impazziti che potrebbero arrivare davanti al TAR anche per soli € 30,00.

Con quale risultato? Mettere per l'ennesima volta le mani nelle tasche dei cittadini.     

a cura di Antonella Aloia e Rossella Guaragna


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