Avv. Nicola Traverso - Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11830 del 16 maggio 2013, hanno risolto un precedente contrasto giurisprudenziale, stabilendo il seguente principio di diritto: "In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull'equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore della facoltà di diniego della rinnovazione stessa (art. 28 e 29 l. 27 luglio 1978 n. 392) costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell'immobile e di successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dal secondo comma dell'art. 560 c.p.c.".
1. La vicenda
La vicenda concreta da cui prende le mosse la Corte è in sintesi la seguente.
Tizio, proprietario di un immobile, sottoscriveva con la società Alfa, il 10/5/1996, un contratto di locazione ad uso commerciale (per attività rientranti tra quelle previste dall'art. 27 L. 392/78, della durata di anni sei, più sei, in caso di mancata tempestiva disdetta
Nel frattempo, tuttavia, in data 8/4/2002 (e cioè prima che il contratto di locazione si rinnovasse tacitamente), era stato effettuato un pignoramento sull'immobile. Il proprietario Tizio aveva dunque l'obbligo, in qualità di locatore-custode, di incassare i canoni di locazione a lui dovuti dal conduttore originario Alfa, prima, e dal conduttore Beta, poi.
La sublocatrice Beta, in seguito, aveva agito davanti al Tribunale di Latina intimando sfratto per morosità alla subconduttrice Gamma, chiedendo il rilascio dell'immobile concesso in sublocazione e la risoluzione del contratto per mancato pagamento dei canoni di locazione mensilmente dovuti; la ditta Gamma si opponeva alla convalida, eccependo la carenza di legittimazione attiva dell'intimante (società Beta), perché il pignoramento dell'immobile era avvenuto in un momento antecedente al rinnovo e alla cessione del contratto.
Il Tribunale di Latina dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della subconduttrice Gamma. La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dalla sublocatrice Beta nei confronti dell'appellante società Gamma. La società Beta proponeva, quindi, ricorso per Cassazione.
Stante l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale nella stessa Corte di Cassazione, la Terza Sezione Civile chiedeva che, a Sezioni Unite, venisse composto e deciso il contrasto sulla seguente questione: "se, in caso di pignoramento dell'immobile e/o di successivo fallimento del locatore, operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui agli artt. 28 e 29 L. 392/1978, e se poi la stessa rinnovazione tacita necessiti, o meno, dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ex art. 560, co. 2, c.p.c.".
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2. Rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza
Nelle ipotesi contemplate dagli artt. 27-28-29 L. 392/1978, per impedire la prosecuzione e la rinnovazione del contratto di locazione è necessario inviare, nei termini previsti dal legislatore (almeno dodici mesi prima della scadenza, termine considerato inderogabile), la disdetta (la quale rientra nella categoria degli "atti negoziali unilaterali e recettizi"). In assenza di disdetta, l'operatività del rinnovo è automatica e non necessita di alcuna manifestazione di volontà.
Se la locazione è stata stipulata per svolgere attività rientranti nell'elenco dell'art. 27, commi 1-2, il diniego di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale è consentito al locatore solo se sussistano i particolari motivi tassativamente indicati dal legislatore nel successivo art. 29, L. 392/78). Alle successive scadenze contrattuali, invece, la disdetta è svincolata da qualsiasi presupposto o condizione.
Il secondo periodo di rapporto locatizio non presuppone pertanto un nuovo contratto: esso infatti non nasce da un accordo implicito tra le parti, bensì dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancata disdetta. Il contenuto contrattuale, d'altra parte, non presenta alcuno specifico elemento di novità, rimanendo sostanzialmente identico a quello originario.
3. Locazioni stipulate prima e dopo il pignoramento o il fallimento
L'art. 560, co. 2, c.p.c., prevede il divieto, per il debitore o il terzo nominato custode, di dare in locazione a terzi l'immobile pignorato in difetto dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione. Analoga autorizzazione è richiesta dall'art. 676, co. 3 c.p.c. per la locazione di beni già sottoposti a sequestro giudiziario. Infine, in forza dell'art. 104-bis della Legge Fallimentare, il Curatore non può stipulare locazioni relative ad immobili ricompresi nella massa attiva senza l'autorizzazione del Giudice Delegato.
Come già evidenziato dalla giurisprudenza (Cass. 10489/2009), tale divieto fa espresso riferimento a un atto negoziale di volontà, che invece non ricorre nell'ipotesi di rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza. Quest'ultima ipotesi di rinnovo è peraltro fattispecie diversa ed autonoma da quella prevista all'art. 1597 c.c. ("fine della locazione per spirare del termine"). Infatti, nella rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale ex art. 28-29 L. 392/78 (istituto con caratteri di specialità), il rinnovo automatico scaturisce direttamente dalla legge e non da un atto negoziale.
L'art. 2923 c.c., infine, dispone che le locazioni stipulate da chi ha subito l'espropriazione (o il fallimento) sono opponibili all'acquirente solo se hanno data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento).
Quanto al rapporto tra art. 2923 co. 1 c.c. e art. 560, co. 2 c.p.c., la giurisprudenza ha chiarito che le due previsioni operano in rapporto di reciproca esclusione, perché la prima riguarda le locazioni risalenti a data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento), mentre la seconda è, per definizione, relativa a locazioni poste in essere dopo l'instaurazione del processo esecutivo individuale o concorsuale.
In altri termini, la disciplina sostanziale dell'opponibilità della locazione viene dettata esclusivamente dall'art. 2923 c.c., mentre l'art. 560 c.p.c. si riferisce a una modalità di esercizio della custodia del bene, ma a fini soltanto processuali e quindi con effetti limitati (anche temporalmente) al processo esecutivo.
Le locazioni stipulate dal locatore-custode (o dal curatore fallimentare) non possono superare i limiti temporali della procedura esecutiva e si esauriscono con la vendita forzata, pertanto non sottostanno ai vincoli di durata posti dalle leggi 431/1998 e 392/1978. Le medesime locazioni, inoltre, ove siano sprovviste dell'autorizzazione giudiziale ai sensi dell'art. 560, co. 2 c.p.c., per consolidata giurisprudenza sono - seppur valide - inopponibili ai creditori e all'aggiudicatario dell'immobile (Cass. 7422/1999). Tali contratti infatti non attengono al "locatore-proprietario esecutato", bensì al "locatore-custode" (sia esso il debitore o un terzo), conseguentemente azioni dagli stessi scaturenti vanno esercitate dal custode (Cass. 16375/2009).
4. Il contrasto giurisprudenziale
Con orientamento costante dal 1970 e fino al 2007, la Corte di Cassazione aveva affermato la necessità dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ai fini del tacito rinnovo della locazione avente ad oggetto l'immobile pignorato o sottoposto a sequestro giudiziario (sentenze nn. 8800/1998, 15297/2002, 26238/2007 e 16375/2009), anche se il contratto fosse stato stipulato prima del pignoramento.
In particolare, si è affermato (Cass. 26238/2007) che, "anche se la locazione dell'immobile pignorato è stata stipulata prima del pignoramento, la rinnovazione tacita della medesima richiede l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, in forza dell'art. 560, co. 2, c.p.c.".
In seguito, con la sentenza n. 10498 del 7/5/2009, la Corte di Cassazione ha disatteso il precedente orientamento, stabilendo che nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, disciplinate dalla legge sull'equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale (per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa), costituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale: conseguentemente, tale rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ex art. 560, co. 2 c.p.c.
La Suprema Corte ha motivato così il nuovo orientamento, con particolare attenzione al momento della prima scadenza contrattuale: "La disposizione, dunque, configura la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza […] in maniera del tutto speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all'art. 1597 c.c., il quale ultimo fa riferimento alla «fine della locazione per lo spirare del termine» di cui al precedente art. 1596. Rinnovazione che, per l'ipotesi in esame, si atteggia, nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell'art. 29, comma 2, (o, pur trovandovisi, non le comunichi al conduttore), come mero effetto automatico in assenza di disdetta. Diversamente dall'ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l'esercizio della disdetta, ad opera del locatore, è svincolato da qualsiasi presupposto o condizione.
Effetto automatico ex lege, dunque, che esclude l'applicabilità del disposto dell'art. 560 c.p.c., il quale, nel far divieto al debitore ed al terzo nominato custode ‘di dare in locazione l'immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice delegato' fa esplicitamente riferimento ad un atto negoziale di volontà che, nella fattispecie trattata, non ricorre".
5. La decisione delle Sezioni Unite
Ponendo fine al contrasto giurisprudenziale suesposto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha confermato l'orientamento più recente, espresso nella sentenza n. 10498 del 2009.
Giova ricordare che, nella vicenda al vaglio della Suprema Corte, il contratto di locazione si era automaticamente rinnovato per mancanza di tempestiva disdetta alla prima scadenza, ai sensi dell'art. 29 L. 392/78.
A sostegno del principio di diritto esposto in epigrafe, la Corte ha addotto le seguenti motivazioni. "La legge sull'equo canone costituisce un microsistema autonomo rispetto al sistema generale sulle locazioni disciplinato dal codice civile e consente l'integrazione delle disposizioni normative di quest'ultimo soltanto quando la materia non sia specificamente disciplinata.
La stessa legge, all'art. 28, prevede che per le locazioni di immobili adibiti alle attività indicate nei commi primo e secondo dell'art. 27: «il contratto si rinnova tacitamente... di nove anni in nove anni; tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta... alla prima scadenza contrattuale... il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all'art. 29… »".
Riprendendo pedissequamente la motivazione della predetta sentenza del 2009, le Sezioni Unite hanno escluso l'applicabilità degli art. 1596-1597 c.c. e confermato che, ove non sussistano (o non vengano correttamente comunicati al conduttore) i presupposti di cui all'art. 29, commi 1 e 2, L. 392/1978, il rinnovo tacito rappresenta una conseguenza automatica della mancata disdetta.
Da ciò deriva che "il secondo periodo di rapporto locatizio, sulla base della disciplina prevista dagli artt. 28 e 29 della legge n. 392/1978 - così come nel sistema che riguarda le locazioni abitative, a norma degli artt. 2 e 3, 1. 9 dicembre 1998, n. 431 - non presuppone, in alcun modo, un successivo contratto. Esso deriva non da un implicito accordo tra i contraenti, ma dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancanza della disdetta. Ed il contenuto contrattuale, che disciplina il nuovo periodo di rapporto, non presenta alcun specifico elemento di novità.
Restano, infatti, operanti le clausole del contratto originario, quelle relative alla misura del canone e quelle relative alla durata della locazione, in ogni caso, integrate nel minimo dall'art. 28, legge n. 392/1978 e dall'art. 2, legge n. 431/1998.
Diversamente, nelle ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l'esercizio della disdetta, da parte del locatore, è svincolato da qualsiasi presupposto o condizione.
La conclusione cui si è pervenuti - vale a dire che si è presenza di un effetto automatico ex lege - esclude l'applicabilità dell'art. 560 c.p.c." (Cass. Civ., Sezioni Unite, n. 11830/2013).
Quest'ultima norma, infatti, vieta al debitore e al terzo custode di dare in locazione l'immobile pignorato senza l'autorizzazione del giudice, ma presuppone un atto negoziale di volontà che, nel caso di specie, non sussiste (perché il rinnovo alla prima scadenza è un effetto automatico).
Nel caso all'esame della Corte, in particolare, ne è derivato che non era necessaria alcuna autorizzazione del Giudice dell'esecuzione ai fini del primo rinnovo contrattuale, e che, conseguentemente, la ricorrente società Beta aveva piena legittimazione attiva ad intimare lo sfratto per morosità alla subconduttrice Gamma.