Un ragazzo muore in un incidente d'auto causato dall'amico al volante della stessa vettura, lo stesso era risultato positivo al test sul livello alcolico ed è è stato ritenuto colpevole di omicidio colposo. IN grado di appello viene riconosciuto il diritto al risarcimento del danno anche alle nonne che, a causa del lavoro di entrambi i genitori, avevano fatto da "supplenti" nell'educazione del ragazzo costituendo così un legame affettivo molto forte, tale da provocare un danno, se spezzato, anche se il nipote è ormai adulto e non vi è stata convivenza.
Il caso è finito dinanzi alla Corte di Cassazione dove il ricorrente aveva evidenziato che la convivenza è presupposto necessario per il risarcimento del danno non patrimoniale.
La Corte di Cassazione dopo un escursus sulle passate pronunce chiarisce che in realtà vi sono solo in apparenza degli indirizzi giurisprudenziali contrapposti. La Corte richiama in particolare due sentenze.
La prima è la sentenza n. 4523 del 2012 in cui si afferma che in assenza di convivenza non vi è un rapporto tale da far presumere un danno dalla perdita del parente. Questa tesi si basa sul concetto di nucleo familiare
fondato sui coniugi e sui figli, a sua volta riportato all'articolo 29 della Costituzione che parla di famiglia basata sul matrimonio. Questa pronuncia, argomenta la Corte, si basa a sua volta sulla sentenza 6938 del 1993 che però faceva riferimento alla convivenza come presupposto del diritto al risarcimento solo a titolo di esempio, infatti, la sentenza nella motivazione afferma che, il risarcimento per la perdita per fatto colposo altrui di un caro, è dovuto quando si verificano circostanze tali da far presumere che sia venuto meno un sostegno morale concreto e, tra virgolette, la sentenza pone come esempio la convivenza.La Corte ritiene quindi che tali sentenze non possono essere poste a base di un orientamento che sostiene la necessità della convivenza. Sempre ad avviso della Corte il principio dell'altra sentenza posta a base del ricorso (sentenza III sez. civile n 10823 del 2007) non è applicabile in questo caso perché la convivenza era posta a presupposto dell'esistenza di un legame giuridico, di conseguenza non vi è analogia tra i due casi.
Veniamo ora all'indirizzo opposto. In questo caso vengono riportate ben tre sentenze, la 15019/2005, la 16716/2003 pronunciate dalla terza sezione civile, ed infine la 20231 del 2012 pronunciata dalla quarta sezione. Esse affermano la lesione di diritti derivante dalla perdita di un congiunto indipendentemente dalla convivenza in quanto il fatto di non convivere non esclude la vicinanza psicologica. A questo punto della motivazione della sentenza 29735 del 2013, i giudici propongono un'interessante prospettiva, affermano come oggi grazie alle moderne tecnologie di comunicazione che permettono un rapporto quotidiano intenso, sia possibile avere forti rapporti di parentela con sostegno morale anche senza coabitazione e quindi spezzare tale legame corrisponde ad un danno.
La Corte parla addirittura di convivenza superflua anche in considerazione del nuovo modo di vivere che porta spesso ad emigrare per ragioni di lavoro e studio spezzando così i rapporti di coabitazione ma non i legami affettivi. Di conseguenza l'interprete per valutare se vi sia o meno danno ai parenti non appartenenti al nucleo familiare ristretto, deve avere come parametro di riferimento la situazione concreta e quindi valutare di volta in volta in base alle risultanze dibattimentali. Poco meritevole per i giudici di Piazza Cavour anche i riferimenti all'articolo 29 che sembra riconoscere come famiglia solo quella nucleare e ciò perché tale lettura non corrisponde al tessuto sociologico realmente esistente e perché deve essere data maggiore rilevanza all'articolo 2 della Costituzione che pone l'accento sui legami affettivi innati e biologici, inoltre, il matrimonio non crea legami solo tra coniugi e tra essi e i figli, ma anche con ascendenti e discendenti di essi. La Cassazione quindi rigetta il ricorso sposando in pieno la motivazione dei giudici di secondo grado che avevano dato rilevanza al profondo legame esistente tra le nonne e il nipote deceduto e che avevano avuto un danno morale rilevante avendo perso un sostegno psicologico importante per la loro esistenza.
Vai al testo della sentenza n. 29735/2013