di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione sesta tributaria, ordinanza n. 17517 del 17 Luglio 2013. Il caso in oggetto esprime chiaramente la portata di principio guida estrapolabile dall'esperienza, in quanto oggetto del contendere è una somma di denaro d'irrisoria consistenza (0,11 centesimi di euro). Ciò che rileva in questa sede, tuttavia, è sottolineare il criterio decisionale che sta alla base della pronuncia di rigetto della Corte di Cassazione. Un privato contesta la legittimità di assoggettamento iva delle spese richieste dal proprio gestore telefonico a titolo di rimborso costo postale di inoltro fattura; a seguito di un primo accoglimento del gravame proposto dal privato da parte del giudice di pace
, il giudice d'appello ha in seguito riformato totalmente la sentenza. Il privato ricorre dunque per Cassazione.Punto focale dell'intera vicenda è dato dalla circostanza che le spese sostenute dal gestore di utenze telefoniche per la spedizione della "bolletta" non sarebbero state sostenute "in nome e per conto" del cliente, ma soltanto "per conto"; tale distinzione è fondamentale e la conseguenza nel caso in oggetto è che la relativa fattura di spesa di servizio postale sarebbe addebitabile esclusivamente all'azienda, la quale, a sua volta, ha diritto di rivalersi nei confronti del cliente. In questo senso tale spesa è "inerente all'esecuzione della prestazione, cioè della cessione del bene o dell'erogazione del servizio e come tale riconducibile alla base imponibile" ai sensi della normativa iva.
Il cliente sostanzialmente contesta l'applicabilità dell'iva proprio a questa voce di costo, partendo dal presupposto che, a monte, usufruendo di speciali agevolazioni fiscali, tale iva non è dovuta dal gestore telefonico verso poste italiane s.p.a. (essendo "esenti da imposizione le prestazioni del servizio postale universale, nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a queste accessorie, effettuate dai soggetti obbligati ad assicurarne l'esecuzione").Interviene sul punto la Corte, la quale, dopo aver esaminato ulteriori e differenti questioni preliminari, evidenzia che "se le parti si accordano nel senso che il pagamento possa essere fatto all'utente dietro ricevimento della fattura (…) mediante spedizione per posta gli è inviata dal gestore, questa spesa che per contratto deve essere sopportata dall'utente è anticipata dal gestore (…) rientra tra quelle cui si applica l'art. 15 n. 3 della Legge Iva". L'orientamento della Suprema Corte sarebbe supportato anche da risposta ad interpello rivolto all'Agenzia delle Entrate. In definitiva, se le spese postali sostenute dal gestore telefonico sono da questi interamente anticipate, in nome proprio e per conto del cliente, allora l'importo chiesto a rimborso all'utente - anche se a monte, nel rapporto tra servizio postale e gestore telefonico, risulta essere esente da iva - ben rientra fiscalmente nella base imponibile, dunque correttamente soggetto ad iva.