di Barbara Luzi - La Corte di Cassazione, sez. IV Penale con la sentenza 27 settembre 2012 - 12 luglio 2013, n. 30190 ha confermato la sentenza d'appello che aveva condannato ad un anno e sei mesi di reclusione i vertici della società che gestisce l'autostrada siciliana per via di un incidente costato la vita ai quattro occupanti di un autovettura Audi A4 precipitata da un viadotto. Nella circostanza, infatti, l'automobile a seguito di uno sbandamento aveva sfondato il guard rail posto a sinistra, dopo un primo urto contro quello di destra, ed era precipitata dal viadotto sul sottostante terreno, con conseguente decesso di tutti gli occupanti.
Non ci sono dubbi sul fatto che la morte dei passeggeri del veicolo era stata causata dalla caduta dal viadotto e non dall'impatto con la barriera protettiva ma il Codice della Strada, all'art. 14, impone all'ente gestore delle strade di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione con la manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi.
Oltretutto le perizie effettuate in sede giudiziale hanno sostenuto che in caso di installazione di una barriera per bordo ponte ad elevata capacità di contenimento (classe H4) il veicolo sarebbe stato contenuto in carreggiata e per gli occupanti della autovettura si sarebbero verificate con elevata probabilità conseguenze non più gravi di lesioni di media entità.
Fuori di dubbio, quindi, che, nonostante i motivi economici per i quali non era stato possibile procedere immediatamente alla sostituzione del guard rail, gravava sugli imputati un dovere di particolare cautela che, in mancanza della sostituzione del guard rail, avrebbe comunque dovuto comportare l'adozione di misure di sicurezza lungo il viadotto, segnalando il pericolo agli automobilisti in transito o provvedendo al restringimento della carreggiata con la conseguente riduzione della velocità dei veicoli in transito.
I ricorrenti lamentano tra le altre cose che a fronte di disposizioni normative chiare e precise quali quelle del DM n. 223 del 1992 (che non prevedevano l'installazione di nuove barriere), dettate al fine di garantire la sicurezza stradale, non sarebbe censurabile la loro condotta sotto il profilo della colpa generica; il motivo di ricorso è infondato poiché, come da precedente pronuncia della Suprema Corte: "l'osservanza delle norme precauzionali scritte non fa venir meno la responsabilità colposa dell'agente, perché esse non sono esaustive delle regole prudenziali realisticamente esigibili rispetto alla specifica attività o situazione pericolosa cautelata, potendo residuare una colpa generica in relazione al mancato rispetto della regola cautelare non scritta del "neminem laedere", la cui violazione costituisce colpa per negligenza o imprudenza.".
Barbara Luzi - barbaraluzi@libero.it
Sito web dell'autore: pmedintorni.blogspot.it
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