Non sempre il tradimento può costituire un motivo valido per chiedere l'addebito della separazione. Lo ricorda la Corte di Cassazione facendo notare come non sia scontato che il tradimento possa costituire l'elemento che ha determinato il crac familiare. Nella sentenza n. 16270 del 2013 la Corte ricorda che il magistrato deve indagare sulle cause reali della crisi matrimoniale e quindi sull'effettiva incidenza del tradimento sulla crisi coniugale.
Come si legge in sentenza, il presupposto dell'addebito è rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la relazione dei doveri coniugali e la crisi dell'unione familiare. Tale nesso "va accertato verificando se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione di intollerabilità della convivenza, rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti comunque priva di efficienza causale" essendo intervenuta in un contesto familiare già compromesso. Lo stesso discorso va fatto nel caso in cui nonostante il tradimento la coppia ne ha superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico.
La Corte ricorda infine che, nel caso in cui a fronte di una condotta contraria ai doveri coniugali, alla volontà di riconciliazione non corrisponde un positivo riscontro da parte dell'altro coniuge, al quale viene attribuito il comportamento determinante la crisi, ed anzi si dà luogo a una maggiore ostentazione della relazione adulterina, appare evidente che si verifica la persistenza tanto della situazione di crisi, quanto di quella condotta, aggravata da un ulteriore elemento, che alla intollerabilità della convivenza si ritiene abbia dato luogo.
Nella fase di merito, la Corte d'appello aveva ritenuto che la mera inosservanza da parte della moglie dell'obbligo di fedeltà coniugale "non avesse determinato crisi irreversibile del rapporto coniugale", in quanto il marito in sede di audizione all'udienza presidenziale, aveva dichiarato di essere disposto a conciliarsi con la moglie nonostante la stessa avesse un amante da circa otto mesi.
Secondo la Cassazione "se da un lato appare corretto orientare l'indagine nel senso di verificare se l'infedeltà della moglie ebbe effettiva incidenza causale sulla crisi del matrimonio, non va omesso di considerare che una generica affermazione di volontà riconciliativa, la quale di per sé non elide la gravità del vulnus subito, e che, in ogni caso, costituisce un posterius rispetto alla proposizione della domanda di separazione, con richiesta di addebito, proprio per aver scoperto l'adulterio, in tanto può assumere valore in quanto determini un effettivo ristabilimento dell'armonia coniugale".
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Come si legge in sentenza, il presupposto dell'addebito è rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la relazione dei doveri coniugali e la crisi dell'unione familiare. Tale nesso "va accertato verificando se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione di intollerabilità della convivenza, rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti comunque priva di efficienza causale" essendo intervenuta in un contesto familiare già compromesso. Lo stesso discorso va fatto nel caso in cui nonostante il tradimento la coppia ne ha superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico.
La Corte ricorda infine che, nel caso in cui a fronte di una condotta contraria ai doveri coniugali, alla volontà di riconciliazione non corrisponde un positivo riscontro da parte dell'altro coniuge, al quale viene attribuito il comportamento determinante la crisi, ed anzi si dà luogo a una maggiore ostentazione della relazione adulterina, appare evidente che si verifica la persistenza tanto della situazione di crisi, quanto di quella condotta, aggravata da un ulteriore elemento, che alla intollerabilità della convivenza si ritiene abbia dato luogo.
Nella fase di merito, la Corte d'appello aveva ritenuto che la mera inosservanza da parte della moglie dell'obbligo di fedeltà coniugale "non avesse determinato crisi irreversibile del rapporto coniugale", in quanto il marito in sede di audizione all'udienza presidenziale, aveva dichiarato di essere disposto a conciliarsi con la moglie nonostante la stessa avesse un amante da circa otto mesi.
Secondo la Cassazione "se da un lato appare corretto orientare l'indagine nel senso di verificare se l'infedeltà della moglie ebbe effettiva incidenza causale sulla crisi del matrimonio, non va omesso di considerare che una generica affermazione di volontà riconciliativa, la quale di per sé non elide la gravità del vulnus subito, e che, in ogni caso, costituisce un posterius rispetto alla proposizione della domanda di separazione, con richiesta di addebito, proprio per aver scoperto l'adulterio, in tanto può assumere valore in quanto determini un effettivo ristabilimento dell'armonia coniugale".
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