"Se infatti si riconoscesse all'associazione sindacale o di categoria la legittimazione ad agire anche in questi ultimi casi, si avrebbe una vera e propria sostituzione processuale in violazione dell'art.81 c.p.c. secondo cui nessuno può fare valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui se non nei casi espressamente previsti dalla legge (Cons. di Stato, Sez. III, 28 febbraio 2013 n. 1221; 7 marzo 2012, n. 1301; Sez. IV, 2 aprile 2004, n. 1826 ; Sez. V, 29 dicembre 2009 n. 8918)".
"È, difatti, principio giurisprudenziale ormai consolidato - che riflette la regola generale dell'art. 81 c.p.c. secondo cui "fuori dai casi previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui" - quello per cui le associazioni sindacali di categoria possono agire in giudizio per far valere interessi propri ed esclusivi dell'associazione, ma non degli associati (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 14 luglio 1995, n. 1079; Sez. VI, 9 novembre 2001, n. 5775)".
"Questi ultimi sono, infatti, autonomi e responsabili soggetti di diritto, per cui la tutela giudiziale del loro interesse non può prescindere dall'autodeterminazione al giudizio dei singoli interessati, con la conseguenza che la circostanza che una controversia relativa a singoli associati possa interessare indirettamente la generalità degli appartenenti alla categoria, non la trasforma da individuale a collettiva".
"Ed infatti, la titolarità di interessi collettivi non comporta un mutamento dei presupposti perché tali interessi possano essere fatti valere in giudizio, richiedendosi sempre che la lesione degli stessi abbia il carattere dell'immediatezza, dell'attualità e della concretezza, essendo quindi le associazioni sindacali legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza solo quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della categoria stessa, oppure si tratti di perseguire comunque dei vantaggi, sia pure di carattere strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della categoria unitariamente considerata (Cons. Stato, Sez. V, 23 settembre 2010 n. 7074)".
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) -sentenza N. 07332/2013 del 10 luglio 2013 depositata in Segreteria il 19 luglio 2013- ha così dichiarato l'inammissibilità dell'impugnativa per carenza di legittimazione attiva, in capo all'associazione sindacale CGIL FP DI ROMA E LAZIO, che aveva presentato ricorso contro ROMA CAPITALE, per l'annullamento di alcuni bandi di indizione di procedure selettive pubbliche per il conferimento di posti di lavoro a tempo determinato in qualifiche varie.
Il Sindacato aveva contestato la legittimità di specifiche previsioni contenute nei bandi, quali quella relativa alla mancata previsione della pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta della Repubblica Italiana, quella relativa alle modalità di presentazione delle domande di partecipazione alla selezione solo mediante modulo online, quella relativa ai termini per la presentazione delle domande di partecipazione alla selezione e quella relativa alla valorizzazione delle precedenti esperienze valutative, e aveva, altresì, impugnata la determinazione comunale recante la disciplina per la costituzione di rapporti di lavoro a tempo determinato.
L' associazione sindacale si era ritenuta legittimata ad agire in quanto rappresentativa, per Statuto, anche di lavoratori disoccupati e precari e mirando con l'azione proposta alla tutela dell'interesse dell'intera categoria degli associati allo svolgimento di procedure selettive nel rispetto delle regole di legittimità.
Le argomentazioni svolte dal TAR. Il Tribunale Amministrativo ha negato, quanto al primo punto, che la domanda sia rivolta ad ottenere la tutela di un interesse comune e omogeneo di tutti i soggetti rappresentati, ma tenda alla tutela dell'interesse solo di alcune categorie di soggetti, peraltro in conflitto con quello dei soggetti che hanno svolto prestazioni lavorative sulla base di contratti di somministrazione.
I sindacati, spiega il Collegio, sono associazioni private non riconosciute, ossia figure organizzative libere e non soggette a vigilanza, verifiche o controlli pubblici, con carattere pluralistico e ad adesione eventuale. In ragione di tale libertà, e del pluralismo che ne discende, essi rappresentano, su base volontaria, solo i loro iscritti - e non tutti gli appartenenti alla categoria - e solo per gli aspetti concernenti le relazioni sindacali.
Avendo carattere plurale ed essendo ad adesione eventuale, e non enti esponenziali della categoria, le associazioni sindacali, a prescindere da quanto dispone il proprio statuto, non possono essere considerate come portatrici di un proprio compito generale di difesa, anche in giudizio, salvo i casi in cui specifiche disposizioni di legge o di regolamento assegnino all'associazione una posizione partecipativa ad un determinato procedimento, o il diritto ad interloquire su scelte che coinvolgano nel complesso la categoria rappresentata.
Né ai sindacati sono affidate funzioni di rappresentanza "istituzionalizzata" in giudizio di interessi del settore lavorativo di riferimento, in luogo degli individui che ne sono titolari - come avviene per esempio per gli ordini professionali - presupponendo l'istituzionalizzazione una attribuzione ex lege (e non in base ad un mero statuto) della tutela degli interessi di tutti gli appartenenti a un gruppo sociale, e in loro luogo, siano essi iscritti o meno. Solo così, in ipotesi, potrebbe ricorrere uno dei "casi espressamente previsti dalla legge" che dà luogo a una sostituzione processuale ai sensi del ricordato art. 81 cod. proc. civ. Coerentemente con il pluralismo sindacale che deriva dalla libertà associativa e dalla libertà di iscrizione, non risulta prevista una siffatta attribuzione, dal che discende l'assenza in capo al sindacato dell'automatica rappresentanza istituzionale in giudizio degli interessi della categoria (vale a dire di tutti i lavoratori del settore).
Inoltre è escluso che "il sindacato possa tutelare in giudizio l'interesse dei singoli suoi associati, dovendo l'interesse che legittima il gravame essere diretto e personale e avere ad oggetto un diritto soggettivo o un interesse legittimo di cui il ricorrente deve essere titolare, altrimenti assumendo il ricorso carattere popolare. La legittimazione ad intervenire in giudizio di una organizzazione sindacale non può discendere dalla mera finalità statutaria di difesa dei suoi appartenenti, occorrendo che dalla controversia emergano specifici e concreti elementi lesivi di altrettanto specifici e concreti diritti e poteri rappresentativi riconosciuti iure proprio al sindacato.
Quanto al secondo punto, l' associazione sindacale non può invocare una pronuncia giurisdizionale, con riferimento all'esito delle contestate procedure, a tutela dell'astratta legalità dell'agere pubblico in materia di partecipazione alle procedure selettive di assunzione, "in quanto si tratta di un interesse privo dei requisiti di attualità e concretezza alla tutela in sede giurisdizionale".
" Tali doglianze potranno essere fatte valere unicamente dai soggetti che, una volta presentata la domanda di partecipazione alla selezione, subiscano per effetto delle contestate previsioni una lesione attuale e diretta alla propria posizione". "Conclusivamente, l'associazione ricorrente, non essendo ente esponenziale della categoria che rappresenta e, indipendentemente dalle autoqualificazioni statutarie, non potendo essere considerata come portatrice dell'interesse dell'intera categoria unitariamente considerata ed avendo azionato, comunque, un interesse riferibile solo ad alcuni dei soggetti rappresentati in assenza di una lesione attuale e concreta delle loro posizioni, non può essere ritenuta legittimata ad agire in giudizio per chiedere l'annullamento degli atti per cui è causa e il ricorso in esame, conseguentemente, si appalesa inammissibile".
Sentenza n. 07332/2013