La  Suprema Corte con questa sentenza,  confermando "in toto" le conclusioni della Corte d'Appello di Lecce,  non deve aver valutato che "il dolce far nulla retribuito"  sia il sogno americano  di ogni lavoratore subordinato o comunque non sempre, al contrario, ha ritenuto che lo stato di inattivitá lavorativa c.d."forzata",  per svuotamento delle mansioni ad opera del datore di lavoro, profili non solo  un inadempimento contrattuale ma anche un comportamento illecito, contrastante con il principio basilare del  "neminem laedere" foriero di responsabilitá  anche di natura  extracontrattuale da risarcire.

Gli ermellini si sono trovati più volte  ad esaminare casistiche di  codesto genere connotate da  implicazioni  variegate, da quelle squisitamente giuridiche a quelle di matrice sociologica e medica. Il  lavoratore  messo da parte e costretto ad "oziare" ,  nel mentre i colleghi lavorano, è  considerata, da una giurisprudenza ormai consolidata,  una  delle forme in cui si manifesta il famigerato "mobbing", che in molti casi comporta  dei  gravi danni al dipendente, spesso vittima di fenomeni  depressivi .

Passiamo al caso "de quo" ....... Con sentenza n. 246/2007 del 18 febbraio 2008 la Corte di appello, giudice del lavoro, di Lecce confermava la decisione del Tribunale di Taranto che, in parziale accoglimento della domanda di ... nei confronti della ... S.p.A., aveva ritenuto che il ricorrente, con il trasferimento presso la base di Taranto della divisione ... era stato privato, di fatto, di ogni compito lavorativo restando così pregiudicato nella sua identità culturale e professionale,  privato di ogni  mansione lavorativa e posto in una condizione di isolamento e svilimento della sua dignità di uomo e lavoratore, causativa nel tempo dello stato depressivo in cui era caduto, escludeva peraltro che l'inoperosità del ... potesse essere la conseguenza di una oggettiva carenza di lavoro, visto il contestuale superimpegno dei suoi colleghi. 

La stessa  Corte di merito, analogamente a quanto sul punto deciso dal giudice di primo grado, negava  nel contempo, che potesse essere ricollegata alla suddetta condizione lavorativa anche la patologia tumorale da cui il ... era risultato affetto. Confermava, infine, il riconoscimento di un danno biologico permanente nella misura del 35% e liquidava tale danno in euro 87.686,00 sulla base delle tabelle in uso presso il distretto; confermava, altresì, il riconoscimento della somma di euro 21.921,00 (pari ad 1/2 del danno biologico) a titolo di danno morale ed euro 15.493,00 a titolo di danno esistenziale. Riteneva, infine, corretta la decisione di rigetto della domanda di garanzia proposta dalla ... S.p.A.

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