di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 18341 del 31 Luglio 2013. In tema di responsabilità professionale del medico la Suprema Corte torna a pronunciarsi circa l'onere della prova. Ossia su grava l'allegazione degli elementi probatori necessari ai fini del decidere.
Nel caso di specie una madre agisce avverso l'asl per i danni patiti dal figlio in fase di travaglio (una grave cerebropatia) a dire dei ricorrenti provocata proprio dalle errate manovre adottate da ginecologo ed ostetrica in sala parto. Rigettata in primo ed in secondo grado, la pretesa viene ripresentata in sede di legittimità.
Tralasciando le censure rilevate dalla Cassazione circa la corretta formulazione dei motivi di ricorso, sul punto la Suprema Corte ricorda come ai fini dell'addebito del risarcimento ex art. 1218 cod. civ. il creditore (paziente) abbia l'onere di dimostrare l'esistenza del rapporto di cura, il pregiudizio subito ed il nesso causale intercorrente tra questo e la condotta del medico. Il sanitario, al contrario, per liberarsi da responsabilità deve dimostrare che l'eventuale lesione verificatasi dipende da circostanza a lui non imputabile. Tale prova può essere raggiunta nel caso l'intervento comporti difficoltà di eccezionale gravità nonché dimostrando di essersi attenuto alle pratiche sanitarie maggiormente diffuse e riconosciute a livello internazionale (c.d. guidelines). Nel caso in oggetto i consulenti tecnici d'ufficio hanno rilevato la sussistenza di patologie pregresse e di conseguenza ammettevano che "il danno neurologico del bambino fosse riconducibile a difetti del feto non preventivabili e non diagnosticabili, od una sua carenza nell'adattamento all'ipossia fisiologica del travaglio". Non rilevando difetto di motivazione della sentenza impugnata né errata applicazione di norme di diritto, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e conferma la validità della sentenza di merito.
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