di Barbara Luzi - La Consulta, con la discussa sentenza n. 232 del 23 luglio scorso, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale nel quale era prevista la custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza per taluni reati.
Per questo viene posta all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui per il delitto di cui all'art. 609-octies cod. pen. prevede una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere. La norma sarebbe in contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con il principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, 1 c., Cost.) e con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, 2 c., Cost.), che "portano ad individuare nel <
La questione viene ritenuta fondata per diversi motivi.
Occorre prima di tutto rilevare che già precedenti pronunce della stessa Consulta avevano dichiarato l'illegittimità della norma oggetto del presente giudizio in relazione ad alcuni reati a sfondo sessuale, al delitto di omicidio volontario, , delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, etc., per gli stessi motivi invocati oggi.
In tutte queste pronunce la Corte Costituzionale aveva tenuto come linea guida delle proprie decisioni il fatto che la compressione della libertà personale deve essere contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Compito facilitato dal fatto che nel nostro codice di procedura penale è possibile scegliere tra una serie di misure di gravità crescente (artt. dal 281 al 285 c.p.p.) cercando di commisurarle con il principio di adeguatezza enunciato all'art. 275 c. 1 c.p.p. ai sensi del quale il giudice è tenuto a scegliere la misura meno afflittiva tra quelle idonee ad essere applicate.
Nonostante la particolare nefandezza del reato e la lesione del bene della libertà sessuale del reato della violenza sessuale di gruppo, considerazioni che hanno indotto il legislatore nel 1996 a farne una previsione autonoma comminando anche una pena di maggior rigore rispetto al delitto di violenza sessuale, la "più intensa lesione del bene della libertà sessuale ricollegabile alla violenza sessuale di gruppo non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata".
Si può concludere, pertanto, che "la norma in esame è in contrasto sia con l'art. 3 Cost., per l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducibili alla fattispecie in esame e per l'ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi al delitto di violenza sessuale di gruppo a quelli concernenti delitti caratterizzati dalla "struttura" e dalle "connotazioni criminologiche" tipiche del delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen.; sia con l'art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale; sia, infine, con l'art. 27, secondo comma, Cost., in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena".
Bisogna ribadire, infine che ciò che entra in contrasto con i principi costituzionali non è la presunzione in sé ma il fatto che la stessa abbia carattere assoluto.
Barbara Luzi - barbaraluzi@libero.it
Sito web dell'autore: pmedintorni.blogspot.it
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