La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18526 del 2 agosto 2013, ha affermato che "è configurabile la cosiddetta compensazione tecnica allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto - la cui identità non è peraltro esclusa dal fatto che uno dei crediti abbia natura risarcitoria derivando da inadempimento -, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta un accertamento che ha la funzione di individuare il reciproco dare ed avere senza che sia necessaria la proposizione di un'apposita domanda riconvenzionale o di un'apposita eccezione di compensazione".
La Suprema Corte, decidendo in merito alla legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente di Banca (che senza avvalersi della collaborazione di altri funzionari, aveva disatteso la normativa interna della Banca, determinando gravi esposizioni patrimoniali per l'istituto di credito) ha precisato che "non appare meritevole di censure la decisione del Giudice di secondo grado che, valutata la totale illiceità della condotta del R. ed accertata l'esistenza di gravi danni patrimoniali derivati dalla stessa, ha affermato, sulla scorta delle disposte consulenze, la conseguente responsabilità da parte del ricorrente condannandolo al risarcimento dei danni a riguardo ed operando un conteggio di dare avere, nell'ambito del medesimo rapporto giuridico (il rapporto di lavoro) tra voci a credito (spettanze di fine lavoro) e voci a debito (danni derivanti dalla violazione degli obblighi posti in capo del prestatore di lavoro)."
Alla luce di concordi e reiterati accertamenti cui la Corte aveva ritenuto di aderire, in quanto fondati su una attenta e compiuta valutazione tecnico-contabile delle circostanze del caso, non poteva che ritenersi la fondatezza degli addebiti mossi al lavoratore, che, per la loro gravità e le gravissime conseguenze economiche per la stessa datrice di lavoro, erano da ritenersi certamente idonei a ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario.
La Suprema Corte, decidendo in merito alla legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente di Banca (che senza avvalersi della collaborazione di altri funzionari, aveva disatteso la normativa interna della Banca, determinando gravi esposizioni patrimoniali per l'istituto di credito) ha precisato che "non appare meritevole di censure la decisione del Giudice di secondo grado che, valutata la totale illiceità della condotta del R. ed accertata l'esistenza di gravi danni patrimoniali derivati dalla stessa, ha affermato, sulla scorta delle disposte consulenze, la conseguente responsabilità da parte del ricorrente condannandolo al risarcimento dei danni a riguardo ed operando un conteggio di dare avere, nell'ambito del medesimo rapporto giuridico (il rapporto di lavoro) tra voci a credito (spettanze di fine lavoro) e voci a debito (danni derivanti dalla violazione degli obblighi posti in capo del prestatore di lavoro)."
Alla luce di concordi e reiterati accertamenti cui la Corte aveva ritenuto di aderire, in quanto fondati su una attenta e compiuta valutazione tecnico-contabile delle circostanze del caso, non poteva che ritenersi la fondatezza degli addebiti mossi al lavoratore, che, per la loro gravità e le gravissime conseguenze economiche per la stessa datrice di lavoro, erano da ritenersi certamente idonei a ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario.
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