di Gerolamo Taras - Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) ha respinto con SENTENZA N. 07953/2013 del 16-08-2013 il ricorso numero 11362 del 2001, proposto da F. R. per l'annullamento del provvedimento di destituzione dal servizio adottato dal Ministero dell' Interno, a conclusione di apposito procedimento disciplinare.
Nei confronti della dr.ssa F. era stato richiesto il rinvio a giudizio per il reato di cui agli articoli 110 e 317 c.p. da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna, e successivamente, è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio ai sensi dell'articolo 9, comma 2, del dPR 737 del 1981, da parte dell'amministrazione intimata. Riammessa in servizio, su sua richiesta, qualche mese dopo è stata contestualmente trasferita da Roma a Pescara e assolta dal giudice di I grado, per insussistenza dei fatti.
Tale sentenza è stata però riformata dal giudice di appello e la ricorrente è stata condannata alla reclusione di un anno e quattro mesi, con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per un periodo di pari durata. Con sentenza del 20 marzo 2001 la Corte Suprema di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla ricorrente avverso la predetta sentenza e, in data 7 giugno 2001 l' Amministrazione dell' Interno aveva avviato nei suoi confronti il procedimento disciplinare con contestazione degli addebiti per infrazione di cui all'articolo 7, nn. 1, 2 e 4 del dPR 737 del 1981 (Che contempla i casi di destituzione per gli appartenenti ai ruoli dell' Amministrazione della Pubblica Sicurezza).
Il procedimento disciplinare si era concluso con il provvedimento di destituzione della Funzionaria. Provvedimento sospeso nella sua decorrenza dal TAR in attesa della decisione della Corte d'Appello di Ancona sull' istanza di revisione del processo, nel frattempo, presentata da F.
Nel merito, i Giudici non hanno condiviso le argomentazioni svolte dalla difesa della ricorrente che lamentava, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 5, comma 4, della legge n. 97 del 27 marzo 2001, per un difetto assoluto di motivazione e per non avere l'Amministrazione valutato la possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro, tenuto conto del comportamento assunto nel tempo dalla ricorrente, oggetto di elogi e positivi riscontri e della particolare tenuità del reato.
Ma attraverso un ragionamento diverso da quello svolto dalla difesa erariale, secondo la quale la norma in questione non avrebbe potuto trovare applicazione in quanto entrata in vigore in data 6 aprile 2001, e quindi successivamente ai fatti oggetto della controversia.Infatti, secondo la Sezione, in base al principio tempus regit actum, la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata con riferimento alle norme vigenti al momento della sua adozione (TAR Puglia, sede di Lecce, sezione I, 8 maggio 2013 n. 1015) e poiché nel caso di specie il provvedimento disciplinare risulta adottato a conclusione di un procedimento che, in parte, ricadeva sotto il vigore di tale disciplina è a quest'ultima che occorreva riferirsi. Pertanto, la norma richiamata va intesa nel senso che è illegittima la sanzione della cessazione del servizio permanente, fatta discendere automaticamente dalla pena accessoria della rimozione disposta dal giudice penale, del tutto prescindendo dalla previa instaurazione di un procedimento disciplinare.
La disposizione in parola stabilisce, infatti, il principio per cui, nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti, ancorché a pena condizionalmente sospesa, l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego può essere pronunciata soltanto a seguito di procedimento disciplinare, fatta eccezione, unicamente, per le ipotesi di cui all'art. 32 quinquies, c.p., relativo ai casi di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli art. 314, comma 1, 317, 318, 319, 319 ter e 320, i quali importano invece di per sé l'estinzione del rapporto di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni. Ora, nel caso della ricorrente, la destituzione dall'impiego non è stata fatta discendere automaticamente dalla condanna inflitta a conclusione del giudizio penale di condanna, ma da un procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti, all'interno del quale le è stata riservata la possibilità di portare le sue ragioni.
E' da escludersi anche il difetto di motivazione del provvedimento di destituzione. Il decreto rinvia espressamente, quanto alle ragioni della sua adozione, al giudizio espresso dal Consiglio Centrale di disciplina, in un precedente procedimento disciplinare.
Quanto alla decorrenza del provvedimento di destituzione dal servizio, osserva il Collegio che questa va fissata al momento dell'inizio della sospensione cautelare, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, esattamente come avvenuto nel caso di specie. Tale principio, come rilevato da giurisprudenza amministrativa " si fonda sulla lettera e sulla ratio degli art. 85, 91 e 92, t.u. n. 3 del 1957, poiché la ricostruzione della carriera è prevista per i casi contemplati dagli art. 91 e 92 del Testo Unico e non ha luogo nel ben diverso caso in cui il procedimento disciplinare vi sia e si concluda col provvedimento di destituzione , poiché opera il principio di non contraddizione, per il quale non spettano certo emolumenti arretrati al dipendente che legittimamente sia stato dapprima sospeso e poi destituito dal servizio; il provvedimento di sospensione dal servizio per la sua natura cautelare e non sanzionatoria produce effetti provvisori destinati ad essere rimossi e sostituiti dal provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, sicché vi è la naturale retrodatazione della cessazione del rapporto, in caso di destituzione. " (CdS, sezione VI, 13.5.2011 n. 2916)
La dott.ssa F. aveva lamentato, ancora, il mancato esercizio del potere di sospensione cautelare del provvedimento disciplinare in attesa dell'esito del giudizio di revisione. Anche da questo punto di vista i Giudici respingono le richieste della ricorrente. Questo il ragionamento: ora, se si considera che la sospensione cautelare dal servizio è prevista anche in assenza del formale rinvio a giudizio in quanto l'Amministrazione ha l'esigenza di salvaguardare la propria immagine e il proprio prestigio a fronte di imputazioni di particolare rilievo, secondo il principio generale fissato dall'art. 91 comma 1 t.u. n. 3 del 1957, e quindi, che la sospensione cautelare facoltativa dal servizio del pubblico dipendente in pendenza di procedimento penale può essere legittimamente adottata non solo quando l'interessato sia stato oggetto della richiesta di rinvio a giudizio di cui all'art. 60 c.p.p., ma anche quando siano in corso indagini penali preliminari, si comprende come ciò possa parimenti avvenire nell'ipotesi di una sentenza definitiva di condanna, risultando le esigenze sopra rappresentate rafforzate da una situazione che ha assunto carattere di maggiore stabilità.
Sentenza n. 07953/2013