Ai sensi dell'art. 5 della L. 23 luglio 1991, n. 223, la individuazione dei lavoratori da porre in mobilità deve avvenire - nel rispetto delle finalità sottese all'istituto della cassa integrazione - sempre tenendo presente le "esigenze tecnico-produttive ed organizzative" del complesso aziendale. Nello stesso tempo va rimarcato come "la stretta connessione tra l'interesse del singolo lavoratore alla conservazione del posto di lavoro con quello del recupero della produttività delle imprese - da perseguire con ricadute sul piano occupazionale di minore impatto possibile - giustifica il ruolo delle organizzazioni sindacali volto a cercare un equilibrato bilanciamento tra tali distinti interessi".
Affermando tali principi la Corte di Cassazione, con sentenza n. 19177 del 19 agosto 2013, ha rigettato il ricorso di una Società avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello aveva osservato che "nel caso di specie l'utilizzo del criterio di individuazione del lavoratore risultava arbitrario ed illegittimo in quanto estraneo al contenuto dell'accordo sindacale.."
La Società - si legge nella sentenza - con l'Accordo, dopo aver quantificato il numero dei dipendenti in esubero presso ogni singola unità produttiva, aveva concordato con effetto vincolante quali unici criteri di individuazione dei lavoratori " la maturazione ... del diritto a pensione e la non opposizione a mobilità" ed aveva anche precisato che tali criteri erano "alternativi e sostitutivi" di quelli indicati nell'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991.
La Società aveva però disatteso tali criteri nel momento in cui non aveva proceduto ad una comparazione della posizione del lavoratore con quella di altri dipendenti della Società ritenendo che nessuna comparazione era possibile tra tutti i lavoratori aventi diritto alla pensione di anzianità ai fini della determinazione della messa in mobilità, dal momento che la posizione del lavoratore "scelto" era l'unica in esubero nell'area in cui operava.