di Paolo M. Storani - Come bisogna contenersi in caso di disconoscimento di scrittura privata prodotta ex adverso?
La risposta vien spontanea prendendo le mosse da Cass. Civ., Sez. II, 31 luglio 2013, n. 18349, Presidente Roberto Michele Triola, Relatore Pasquale D'Ascola; si possono, dunque, sviluppare alcune notazioni di carattere pratico sul concetto di disconoscimento di scrittura privata nel processo civile.
Per dirla con le espressioni del grande Virgilio Andrioli, "la richiesta di disconoscimento formale vuole significare non già che siano necessarie formule sacramentali, ma che non sarebbe sufficiente un disconoscimento generico ... ovvero per facta concludentia" (Commento al Codice di procedura civile, II, ristampa della terza edizione riveduta con appendice, Napoli, 1960).
La Corte di Appello de L'Aquila del caso che segnaliamo ai lettori di Law In Action ha così ribaltato il responso del Tribunale di Avezzano che aveva recepito la domanda tesa alla restituzione di una somma mutuata ai convenuti e basata sul riconoscimento contenuto in una scrittura privata.
La scrittura era stata inizialmente prodotta in copia fotostatica.
La Corte di Cassazione nella recente pronuncia in commento approva l'operato del Collegio aquilano dal momento che parte attrice non aveva attivato la procedura di verificazione di scrittura privata disconosciuta, alla morte dei convenuti, nei confronti dell'erede testamentario degli intimati; va rilevato che nei confronti dell'erede l'attore riassumente aveva versato in atti l'originale del documento sottoscritto dagli originari convenuti.
Orbene, abbiamo anticipato che la Corte distrettuale aquilana ribaltava il responso del Tribunale marsicano e, "rilevato che a seguito del disconoscimento, iniziale e successivo, non era stata proposta la procedura di verificazione, rigettava la pretesa attorea".
La funzione del procedimento di verificazione, sia proposto in via incidentale (attraverso la proposizione di apposita istanza all'interno del processo già pendente ed avente un diverso oggetto), sia proposto in via principale, è quella di accertare l'autenticità di una scrittura privata e, quindi, di stabilire se possa essere utilizzata nel giudizio quale mezzo di prova.
La questione giungeva alla Suprema Corte sotto la vigenza dell'obbligatorietà del quesito di diritto.
L'esclusivo motivo in cui era condensato il ricorso per cassazione consisteva nel seguente quesito: "ai fini del disconoscimento di una scrittura privata, nella sua interezza o limitatamente alla sua sottoscrizione, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale o speciale, è sempre necessaria una impugnazione specifica e determinata, che contesti chiaramente l'autenticità della stessa, e che non lasci dubbio alcuno sulla sua interpretazione".
Poniamo un primo punto fermo: stando all'insegnamento dell'emblematica Cass., Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5461 (Pres. Roberto Preden, l'Uomo che fu estensore delle storiche, quattro sentenze gemelle di San Martino 2008 sul risarcimento del danno non patrimoniale, Rel. Francesco Trifone), l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'adozione di formule sacramentali, viene assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto.
Talché, gli estremi della negazione della genuinità debbono desumersi in maniera inequivoca.
Ne consegue, a titolo esemplificativo, che la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all'originale, a mente dell'art. 215 c.p.c., n. 2, se la parte comparsa, nei cui confronti è stata prodotta, non la disconosce in modo formale e specifica nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione.
In proposito, per migliore informazione, si veda il contributo di Giorgio Grasselli, avvocato del Foro di Padova, esperto pubblicista, a margine del medesimo art. 215 c.p.c., nell'analitico Commentario al Codice di Procedura Civile, edito da Giuffrè nel 2012-2013, alla cui stesura abbiamo partecipato quale ultima ruota del carro.
La scrittura si ha per riconosciuta in due ipotesi:
1. Se la parte cui è attribuita è contumace;
2. Se la parte costituita non la disconosce nella prima udienza o nella prima risposta che segue alla produzione della scrittura.
Nel caso da cui parte la nostra disamina gli Ermellini di Piazza Cavour hanno seguito il magistero della medesima Corte di legittimità reputando che fosse stato espresso "un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta".
Comparsa di costituzione e di risposta: "gli attuali convenuti non ebbero a sottoscrivere alcuna scrittura privata e, nel caso, sicurtamente estorta con inganno e raggiro"; una chiara manifestazione di volontà impossibile da fraintendere!
Presa visione del deposito dell'originale, parte resistente "aveva immediatamente disconosciuto la sottoscrizione del de cuius".
Ineccepibile, dunque, la statuizione della Corte aquilana che ha tratto le logiche conseguenze dalla mancata istanza di verificazione.
Da rimarcare ancora che:
a) la prima, tempestiva manifestazione di volontà dei convenuti era univoca e la Corte d'Appello le dà peso razionalmente;
b) in linea subordinata, costoro avevano avanzato anche un'ipotesi di estorsione e vizi di volontà, formula eventuale che avrebbe avuto vigore autonomo soltanto a seguito di positiva verificazione della scrittura che fosse, quindi, risultata vergata di pugno dai convenuti;
c) ai sensi dell'art. 216 c.p.c. la parte che aveva prodotto la scrittura poi disconosciuta ex adverso avrebbe dovuto domandarne la verificazione: tale vaglio è mancato.
Stando a Cass., Sez. VI, 14 febbraio 2013, n. 3730, Pres. Umberto Goldoni, Rel. Aldo Carrato, le scritture prive della sottoscrizione non possono rientrare nel novero delle scritture private aventi valore giuridico formale e produrre, quindi, effetti sostanziali e probatori, neppure quando non ne sia stata impugnata la provenienza dalla parte cui vengono opposte; ne consegue che la parte, contro cui le stesse vengano prodotte, non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ai sensi dell'art. 215 c.p.c., norma che ha riguardo solamente al riconoscimento della sottoscrizione.
Non avendo la parte interessata agito nel senso or ora indicato, il S.C. ha confermato la congrua e logica decisione del Collegio di secondo grado, rigettando il ricorso e condannando parte ricorrente alla refusione dei compensi di lite alla controparte che aveva resistito con controricorso.
Di seguito il testo integrale della significativa pronuncia qui segnalata, trattata alla pubblica udienza del 19 marzo 2013.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 marzo - 31 luglio 2013, n. 18349
Presidente Triola - Relatore D'Ascola
Svolgimento del processo
D.F.I. conveniva in giudizio D.C.S. ed P.E., chiedendone la condanna al pagamento di Euro ventimila, somma mutuata in più riprese, come riconosciuto in una scrittura privata del 14 febbraio 1989 sottoscritta dai convenuti e depositata in fotocopia.
I coniugi D.C. si costituivano in giudizio negando il debito.
Tal G.M., inizialmente indicato quale testimone, interveniva in giudizio adesivamente, senza assumere pertanto la veste di litisconsorte necessario.
Interrotta per la morte dei convenuti, la causa veniva riassunta nei confronti dell'erede testamentario D.C.B., la quale resisteva in giudizio e, avvenuta la produzione dell'originale della scrittura, disconosceva le sottoscrizioni.
La dda veniva accolta dal tribunale di Avezzano. La Corte di appello di L'Aquila il 16 gennaio 2007 capovolgeva la decisione e, rilevato che a seguito del disconoscimento, iniziale e successivo, non era stata proposta la procedura di verificazione, rigettava la pretesa attorea. D.F.I. resisteva con controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso consta di un solo motivo, che denuncia in rubrica violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., condensato da quesito di diritto che qui si riporta:
"Ai fini del disconoscimento di una scrittura privata, nella sua interezza o limitatamente alla sua sottoscrizione, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale o speciale, è sempre necessaria una impugnazione specifica e determinata, che contesti chiaramente l'autenticità della stessa, e che non lasci dubbio alcuno sulla sua interpretazione?".
Come risulta palese dalla formulazione, il tema della controversia non è il principio di diritto, senza dubbio pacifico, che si vuole affermare (cfr. per tutte Cass. 5461/06, secondo la quale "l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto: tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia"), ma la sussunzione in esso del caso di specie e l'adeguatezza della motivazione con la quale la Corte di appello l'ha sorretta.
Nella specie la Corte di appello ha avuto ben presente il ricordato insegnamento della Corte di legittimità, poiché ha ritenuto che fosse stato espresso "un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta". Lo ha ravvisato nel fatto che in comparsa di risposta fosse stato dedotto testualmente: "gli attuali convenuti non ebbero a sottoscrivere alcuna scrittura provata e, nel caso, sicuramente estorta con inganno e raggiro".
Ha aggiunto che la odierna resistente aveva ribadito la contestazione della scrittura prodotta in copia e, avuta visione dell'originale prodotto in corso di causa, "aveva immediatamente disconosciuto la sottoscrizione del de cuius".
Ha osservato che detto secondo disconoscimento era tempestivo in relazione alla produzione dell'originale; ha concluso traendo le conseguenze della mancata istanza di verificazione.
La decisione così assunta è ineccepibile sotto ogni profilo.
La motivazione circa la idoneità del primo disconoscimento è congrua e logica, poiché ha dato peso, razionalmente e opportunamente, alla prima manifestazione della comparsa di risposta e non alla subordinata ipotesi di estorsione e vizi della volontà. Questa ultima era formulata in via eventuale ("nel caso"); era dunque destinata ad assumere valore e senso autonomo solo ove, a seguito di positiva verificazione, che è mancata, la scrittura fosse risultata di pugno dei convenuti.
Inoltre l'inequivoco e tempestivo disconoscimento effettuato dopo la produzione dell'originale valeva a confermare chiaramente l'adempimento dell'onere di disconoscimento.
Ai sensi dell'art. 216 c.p.c., la parte che aveva prodotto la scrittura così disconosciuta avrebbe dovuto chiederne la verificazione.
In mancanza, è corretta la decisione del giudice di merito, che ha considerato non provata la domanda.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.