di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, sezione I, sentenza n. 20687 del 10 settembre 2013. Nell'ambito del concorso pubblico, l'articolo 13 del Decreto Presidente della Repubblica n. 9 maggio 1994, n. 487 prescrive che la timbratura del foglio-risposte e la firma di uno dei componenti della commissione devono essere effettuati a pena di nullità prima della loro distribuzione o comunque prima della loro compilazione da parte dei candidati, a prescindere da ogni accertamento in merito al raggiungimento degli scopi di imparzialità, economicità e trasparenza, delle operazioni concorsuali: laddove la società privata che ha ricevuto in appalto l'organizzazione della prova non timbri i fogli-risposte e li inserisca senza firma nel plico sigillato insieme ai questionari risulta inadempiente al contratto stipulato l'ente promotore in quanto non garantisce la regolarità della selezione e dunque non può essere escluso l'obbligo risarcitorio in favore dell'amministrazione.
E' quanto deciso dalla Corta di Cassazione, con sentenza
10 settembre 2013, n. 20687. L'accertamento della volontà delle parti espressa nel contratto, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale di cui all'articolo 1362, e seguenti, codice civile, oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Per far valere una violazione sotto entrambi i profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto anche a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati o li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti. Vai al testo della sentenza 20687/2013