di Luigi Del Giudice - Per giurisprudenza pacifica della corte di cassazione, sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l'urinare in luogo pubblico. La norma dettata dall'art. 726 del codice penale, in particolare, non esige che l'atto abbia effettivamente offeso in qualcuno la pubblica decenza e neppure che sia stato percepito da alcuno, quando si sia verificata la condizione di luogo, cioè la possibilità che qualcuno potesse percepire l'atto" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. V, 28.4.1986 n. 3254, Cass. sez. 3, 25.10.2005 n.45284 e, più di recente, Cass. sez. 3 n. 15678 del 25.3.2010). Il reato in questione poi si differenzia da quello di cui all'art. 527 codice penale in quanto la distinzione tra gli atti osceni e gli atti contrari alla pubblica decenza va individuata nel fatto che i primi offendono, in modo intenso e grave il pudore sessuale, suscitando nell'osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici, mentre i secondi ledono il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione" (Cass. pen. sez. 3 n. 2447 del 14.3.1985).
Tuttavia, precisa la Corte di cassazione, per ritenere che la condotta posta in essere dall'imputato integri il reato contestato, non si può prescindere dall' esaminare le modalità della stessa e le circostanze di tempo e di luogo, anche ai fini, di cui all'art. 34 D.L.vo 28.8.2000 n. 74. Tale norma stabilisce che "il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale".

Luigi Del Giudice
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