"Nei confronti della persona giuridica e in genere dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra quello relativo all'immagine, allorquando si verifichi la sua lesione. In tali casi, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, è risarcibile il danno non patrimoniale costituito - come danno c.d. conseguenza - dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca."
Ricordando tale principio di diritto, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte, con sentenza n. 22396 del 1 ottobre 2013, ha statuito che le affermazioni offensive inviate da un dipendente al legale rappresentante di una società, in quanto non esternate al di fuori dell'ambito aziendale, non sono idonee ad incidere sulla reputazione, sul prestigio e sul buon nome della società nè tantomeno a provocarne la caduta dell'immagine.
Nel caso di specie la Corte territoriale, esaminando il contenuto delle e-mail indirizzate da un dipendente al direttore generale della società datrice di lavoro e al legale rappresentante della stessa e le espressioni profferite dal lavoratore che tra l'altro ha definito la legale rappresentante della società una "mentecatta e pazzoide", ha affermato che "la natura gravemente offensiva delle esternazioni verbali e scritte appariva talmente evidente da non richiedere ulteriori commenti. Il comportamento del lavoratore era pertanto privo di ogni plausibile giustificazione".
Congrua, sufficiente e non contraddittoria la motivazione dei giudici di merito relativa alla legittimità del licenziamento ma va cassata la sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui ha ritenuto che spettasse un risarcimento all'Azienda essendo stata lesa da un'affermazione contenuta nell'e-mail del lavoratore trasmessa al legale rappresentante.
La sentenza non fa riferimento ai danni che la società, prima ancora di aver provato, ha dedotto di aver subito per effetto di dette affermazioni. "In tale situazione la domanda risarcitoria non poteva essere accolta".