di Barbara Luzi - La Cassazione, sezioni unite, con la sentenza 16 settembre 2013 n. 21108 si è pronunciata su una questione di particolare rilevanza e cioè sull'affidamento tramite istituto della kafala a cittadino italiano di minore straniero e sul conseguente nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale.
Il fatto riguarda un cittadino italiano, stabilitosi temporaneamente per lavoro in Marocco che decide insieme alla sua famiglia di prendere in affido un minore, abbandonato dalla nascita, tramite l'istituto della kafala.
Trattasi di un istituto presente in molti ordinamenti di diritto islamico con il quale viene tutelata l'infanzia, è una sorta di tutela sociale con la quale un soggetto si obbliga a mantenere il minore, ad educarlo e proteggerlo fino al raggiungimento della maggiore età. Con questo provvedimento, però, il minore non cessa i suoi rapporti con la famiglia di origine (anche se si trova in stato di abbandono) per cui in realtà non entra a far parte della nuova famiglia e non acquista un legame con le persone che si prendono cura di lui.
La differenza con l'istituto dell'adozione presente, invece, nel nostro ordinamento giuridico è giustificata dal fatto che in questi paesi anche il sistema giuridico è influenzato dalla religione ed il corano vieta espressamente l'adozione considerandola peccato. I vincoli di volontà divina (quali sono quelli familiari) non possono essere costruiti o modificati in maniera artificiale dall'uomo. Ciononostante si pone comunque il problema di proteggere l'infanzia in luoghi in cui troppo spesso i bambini si trovano a vivere abbandonati a loro stessi o perché hanno perso i genitori o perché sono stati appunto abbandonati.
La kafala è stata riconosciuta dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 Novembre 1989 nella quale all'articolo 20 si legge: "1. Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato..." ed ancora "2. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale. 3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo dell'affidamento familiare, della kafala di diritto islamico, dell'adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica".
Contro questo provvedimento veniva proposto ricorso al Tribunale di Tivoli che, in accoglimento delle ragioni della famiglia ricorrente, considerato che il bambino aveva vissuto sin dai primi giorni di vita con loro e che il minore era stato autorizzato all'espatrio, disapplicava il provvedimento ordinando all'Autorità consolare di rilasciare il visto ritenendo che la Kafala fosse idonea per la richiesta di ricongiungimento.
Questa decisione veniva completamente ribaltata dalla Corte d'Appello di Roma alla quale si rivolgevano con ricorso il Ministero degli esteri e dal Consolato d'Italia di Casablanca con la motivazione che la richiesta di visto era un tentativo di aggiramento della disciplina nazionale dell'adozione internazionale, che prevede un rigoroso accertamento dei requisiti d'idoneità dei genitori affidatari, che in ogni caso l'adozione internazionale non avrebbe potuto essere dichiarata poiché, come abbiamo già detto, tale istituto non è previsto dal paese di origine del ragazzo e che non esistono accordi bilaterali tra Italia e Marocco in tal senso.
Contro tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, sulla scorta del fatto che in ogni decisione presa su questioni che riguardano minori le ragioni superiori che devono essere seguite sono quelle dell'interesse di quest'ultimo, principio espressamente affermato dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e desumibile anche dagli artt. 2 e 30 della nostra Costituzione. L'esclusione in via assoluta per un cittadino italiano di ottenere il ricongiungimento con minore extracomunitario a lui affidato con provvedimento di kafala farebbe sorgere anche il sospetto di illegittimità costituzionale per la disparità di trattamento dei minori stranieri che hanno bisogno di protezione.
Ora sicuramente il minore straniero affidato in kafala non potrà rientrare nella qualifica di discendente sia sotto il profilo biologico che anche sotto quello giuridico dell'adozione ma sicuramente può essere ricompreso nella definizione "altri familiari" per i quali il cittadino italiano può chiedere ed ottenere il ricongiungimento.
Per questi motivi la Suprema Corte nella sua conformazione a Sezioni Unite, pronunciando il provvedimento ex art. 363 c.p.c., così decide: "Non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafala pronunciato dal giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito.".
Barbara Luzi - barbaraluzi@libero.it
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