"Il ritardo nel pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali, relativi al periodo di tempo intercorso tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, comporta l'applicazione delle sanzioni civili previste dai commi 8° e 9° dell'art. 116 della legge 388 del 2000".
Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 23181 dell'11 ottobre 2013, ha accolto il ricorso dell'Inps cassando con rinvio la sentenza dei giudici di merito i quali avevano negato che il datore di lavoro dovesse anche versare le sanzioni civili per il ritardo nella corresponsione dei contributi.
La Suprema Corte ha precisato che l'art. 18 st. lav., in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento, prevede, fra l'altro, la condanna del datore di lavoro "al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento della effettiva reintegrazione".
"Da tale previsione e, più in generale, dalla efficacia retroattiva della condanna prevista dall'art. 18 st. lav., la consolidata giurisprudenza di questa S.C ha desunto che, nel periodo di tempo tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione, il rapporto previdenziale continua."
La sentenza delle Sezioni unite già richiamata (n. 15143 del 2007) - precisano i giudici di legittimità - ha infatti affermato, riallacciandosi ad alcune affermazioni della Corte Costituzionale (sentenza n. 7 del 1986), che in tale periodo il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto e rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale ed il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all'ente previdenziale i contributi assicurativi per tutta la durata di tale periodo.
Questa ricostruzione conferma che il mancato versamento dei contributi implica un ritardo nell'adempimento, distinto problema è quello della possibilità di considerare giustificato il ritardo. Possibilità che deve essere esclusa in quanto il pagamento tardivo è determinato da un atto illegittimo, che quindi è intrinsecamente inidoneo ad assurgere a causa di giustificazione.