di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione seconda, sentenza n. 23957 del 22 Ottobre 2013. Con atto di citazione il presunto cessionario di credito derivante da prestazione professionale - nella specie di un architetto - cita in giudizio i presunti obbligati, i quali tuttavia contestano l'esistenza stessa di detto credito affermando di aver solamente stipulato con il professionista contratto preliminare di vendita, peraltro sottoposto a condizione sospensiva di qualificazione delle aree interessate come edificabili. Tale condizione, tuttavia, non si è mai avverata. Rigettata in primo grado, la domanda veniva riproposta in grado di appello: secondo il giudice di prime cure l'attore non sarebbe stato in grado di provare l'esistenza stessa dell'obbligazione. Secondo il giudice d'appello, così come in primo grado, il deposito degli elaborati progettuali sottoscritti dai clienti presso il Comune non costituirebbe prova del conferimento dell'incarico professionale.
L'interessato propone dunque ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, dopo aver affermato che "presupposto essenziale ed imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente", statuisce altresì che la prova dell'esistenza di detto vincolo non può che gravare sull'attore. Rimane tuttavia potere discrezionale del giudice del merito valutare la prova fornita e decidere al meglio circa la sussistenza o meno del rapporto. Tale decisione, se adeguatamente motivata - come nel caso di specie - non è sindacabile in sede di legittimità. Il ricorso viene quindi rigettato.
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