di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, Sezione Tributaria, sentenza n. 24016 del 23 ottobre 2013. Legittimo l'accertamento basato sugli studi a carico del professionista che dichiara poco rispetto ai compensi del personale. Il «comportamento antieconomico» giustifica da solo l'atto impositivo emesso con procedimento induttivo. E' il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza 23 ottobre 2013, n. 24016.
Secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, l'avviso di accertamento non può fondarsi sul mero scostamento dei dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore, dovendo l'Amministrazione suffragare la pretesa con ulteriori elementi e indizi idonei a dimostrarne l'attendibilità. L'Ufficio è tenuto ad instaurare un contradditorio con il contribuente e a tenere conto delle sue giustificazioni, sì da pervenire ad un adeguamento personalizzato delle risultanze di tali studi, che tenga conto della probabilità di errore nella stima. La media di settore in sé considerata non è un fatto sufficiente a fondare la prova presuntiva di un maggior reddito, potendo assumere tale valore probatorio solo all'esito della valutazione degli elementi raccolti nel contradditorio con il contribuente, da instaurarsi a pena di nullità dell'atto impositivo. Dal punto di vista procedurale, non può revocarsi in dubbio, secondo l'orientamento della Suprema Corte di Cassazione, infatti, che la rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall'articolo 184 bis, codice procedura civile, quanto in quella di più ampia portata prefigurata dal novellato articolo 153, comma 2, medesimo codice, presupponga la tempestività dell'iniziativa della parte che assuma di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile.
Siffatta tempestività postula una immediata reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere una attività processuale ormai preclusa, ovverosia non appena la medesima abbia acquisito la consapevolezza di aver violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell'atto.Vai al testo della sentenza 24016/2013