di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione sesta, ordinanza n. 24502 del 30 Ottobre 2013. L'art. 139 c.p.c. consente all'ufficiale giudiziario di perfezionare la notifica anche nel caso in cui il diretto interessato non sia presente presso la sua abitazione o il suo domicilio o, come nel caso in oggetto, presso lo studio professionale. Secondo la lettera della legge sono infatti ritenuti soggetti idonei alla ricezione "una persona di famiglia o addetta alla casa, all'ufficio o all'azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace", se non addirittura "al portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda, e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla". Per analogia, dunque, nel caso in cui l'atto da notificarsi sia una sentenza, l'ufficiale giudiziario può correttamente consegnare tale documento al praticante avvocato presente nello studio, il quale dichiari "di essere addetta all'ufficio o abilitata o incaricata a ritirare l'atto". Ma che accade se il praticante risulta iscritto al registro praticanti avvocati di un ordine diverso rispetto a quello di appartenenza del procuratore domiciliatario?
La Suprema Corte si esprime decisamente nel senso della validità della notifica, spettando al destinatario della notificazione "dimostrare l'inesistenza di qualsivoglia relazione di collaborazione professionale e la casualità della presenza del consegnatario presso lo studio del procuratore destinatario della notificazione". Spetta quindi all'interessato - gravando decisamente su questo soggetto l'onere della prova - dimostrare l'insussistenza di qualsiasi tipo di rapporto professionale intercorrente tra lo stesso e il soggetto terzo ricevente.
Il fatto che il praticante avvocato fosse iscritto in albo professionale differente rispetto a quello dell'avvocato destinatario dell'atto non implica, di per sé, decisività della prova, "essendo la residenza di un professionista in un dato luogo e la collocazione di un suo studio professionale in tale luogo non incompatibili, di per sé, con la collaborazione con altro studio professionale". Nel caso di specie, dunque, non essendo stato fornito alcun ulteriore elemento probatorio, idoneo a verificare l'effettiva insussistenza di rapporto professionale tra i due soggetti, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, rigettandolo con ordinanza emanata dalla sezione filtro.Vai al testo dell'ordinanza 24502/2013