- Corte Costituzionale: se un figlio adottato vuole accedere a delle informazioni sulle sue origini, la madre naturale può revocare il diritto all'anonimato.
Mamma son tanto felice perché ritorno da te. La mia canzone ti dice ch'è il più bel sogno per me...
Questa famosa canzone fu interpretata agli inizi degli anni '40 dal tenore Beniamino Gigli e successivamente interpretata magistralmente dal mitico Claudio Villa.
Questa canzone e' sicuramente un tributo alla mamma e all'amore per lei che non ha mai fine anche quando la stessa mamma e' costretta, per ragioni legate alla sua giovane età, per violenze subite o perché indigente, ad abbandonare un figlio dandolo in adozione.
Alla madre e' stato da sempre riconosciuto il diritto all'anonimato e in merito allo stesso una recente sentenza della Corte Costituzionale, del 25 settembre 2013,ha stabilito una novità : "cioè la possibilità per la madre di revocare il suo diritto all'anonimato nell'ipotesi in cui venga a conoscenza che il figlio naturale abbia chiesto l'accesso a delle informazioni sulla sua vita".
Prima di entrare nel merito di ciò che ha stabilito la Corte e' opportuno fare una breve premessa storica.
La storia ci ricorda che per i bambini abbandonati esisteva la c.d. "Ruota degli esposti" presso le chiese o gli ospedali, dove le madri potevano lasciare i loro bambini conservando per sempre l'anonimato.
A questi poveri bambini si davano cognomi convenzionali, con varianti da città a città. Comune era dare cognomi dal significato religioso, che proteggessero i bambini come ad esempio: Diotaiuti, Diotallevi ecc. ; a Napoli era tipico il cognome Esposito (esposto), a Firenze il cognome Innocenti o Degl'Innocenti, A Roma era comune chiamare i trovatelli con il cognome Proietti.
Per ciò che riguarda i giorni nostri la legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell'Ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l'assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell'atto di nascita del bambino viene scritto "nato da donna che non consente di essere nominata".
Prima di questa novità, l'incontro" tra la madre che aveva espresso la volontà di anonimato e il figlio naturale avveniva solo se la madre decideva di rompere l'anonimato, indipendentemente dalla richiesta del figlio.
Invece, con la sentenza del 25 settembre 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 28, settimo comma L. 184/83, nella parte in cui non prevede la possibilità per la madre di revocare il diritto all'anonimato espresso al momento della nascita.
Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha stabilito che: " se il figlio chiede di poter accedere ad informazioni circa le proprie origini, la madre, pur conservando il diritto all'anonimato, può revocarlo."
La Corte nel prendere questa decisione ha voluto tutelare il diritto alla salute del
del figlio, che sempre più spesso non può essere tutelato solo dai dati anonimi conservati nella scheda del parto. Oggi alcune diagnosi e terapie sono possibili solo se si dispone del DNA, delle cellule staminali o del midollo dei genitori naturali.
Oggi il minore ha diritto di essere sempre informato della sua condizione di figlio adottato.
Il rapporto di adozione non può però in alcun modo risultare da alcun certificato né atto di alcun genere rilasciato dall'Ufficiale di Stato Civile o dell'anagrafe, mentre qualsiasi pubblico Ufficio, così come qualsiasi Ente pubblico o privato e qualsiasi Autorità devono assolutamente rifiutare di fornire qualsiasi notizia o informazione dalla quale risulti tale rapporto, salva l'autorizzazione espressa dell'Autorità Giudiziaria.
Raggiunta l'età di 25 anni, l'adottato può presentare al Tribunale per i Minorenni un'istanza per essere autorizzato ad avere accesso alle informazioni sulla propria origine.
L'adottato maggiorenne ma di età inferiore ai 25 anni può presentare l'istanza solo se "sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica".
In entrambi i casi, l'accesso è autorizzato se il Tribunale valuta che esso "non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente".