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"Femmena,
Si tu peggio 'e na vipera,
m'e 'ntussecata l'anema,
nun pozzo cchiù campà."
"Malafemmena" è un brano del 1951, uno dei più famosi nel repertorio musicale napoletano.
Malafemmena venne lanciata contemporaneamente da Giacomo Rondinella, in uno spettacolo, e da Mario Abbate alla Piedigrotta de La Canzonetta. La canzone ispirò anche due film: il famosissimo, Totò, Peppino e la... malafemmena, dove è cantata da Teddy Reno, e Malafemmena dove, a prestare la voce al brano, è invece Nunzio Gallo.
Dunque, il testo di questa canzone ben si presta a riassumere quella che è la storia giudiziaria su cui la Cassazione si è espressa con una recente sentenza, la n. 43407 del 24 ottobre 2013, affermando che : "risponde del reato di ingiuria, il marito che dà della "rovinafamiglie" alla ex, anche se lei si trovava in un'altra stanza ed è stata informata poi da altri presenti.
Come accade spesso, quando una coppia scoppia i conflitti sono all'ordine del giorno, quindi, le dichiarazioni d'amore restano un vago ricordo sostituite da vere e proprie "dichiarazioni di guerra" palesate a suon di minacce, dispetti e improperi.
La storia giudiziaria di cui si è occupata la Cassazione riguarda un uomo che si era recato a casa della ex per prendere i figli e in quell'occasione cercava chiarimenti circa una precedente discussione avuta qualche giorno prima con la ex moglie.
In quel contesto però l'uomo perdeva la calma e, in preda all'ira, sferrava dei calci alla porta e poi offendeva la moglie rivolgendole appellativi oltraggiosi.
Il Tribunale di Velletri, riconosciuta la colpevolezza dell'uomo, lo condannava a pagare euro 500 di multa e al risarcimento del danno per il reato di ingiuria in danno alla ex coniuge.
La quarta sezione penale, in linea, poi, con la Corte territoriale, ha ritenuto l'uomo responsabile del reato di ingiuria per gli epiteti (come "rovinafamiglie") rivolte alla ex.
Gli Ermellini hanno, dunque, chiarito che si configura il reato di ingiuria anche se la ex moglie, nel momento dell'affermazione offensiva si trovava in un'altra stanza della casa ma testimone dei fatti era stata la madre di lei.
In buona sostanza, il reato di ingiuria si concretizza anche se il soggetto passivo dell'ingiuria non ha direttamente percepito le espressioni indirizzate, basta che ne sia stato informato da altri presenti.
Pertanto, la Corte rigettava il ricorso presentato dall'uomo e lo condannava a pagare le spese processuali.