Anna De Miccolis Angelini - Il nostro ordinamento non prevede espressamente l'istituto della "diseredazione", ossia la disposizione di carattere patrimoniale contenuta in un testamento con la quale il testatore escluda dalla successione un successibile ex lege.
Il diritto romano, invece, conosceva tale istituto che aveva in realtà un contenuto sanzionatorio di natura civilistica e si risolveva nel potere attribuito al pater familias di estromettere dalla successione i propri eredi necessari nell'ipotesi in cui ritenesse di essere stato da questi offeso e nutrisse pertanto un risentimento nei loro confronti.
L'inammissibilità nel nostro ordinamento di un istituto con queste caratteristiche discende dalla contrarietà con la disciplina della c.d. successione necessaria. L'art. 457, comma 3 dispone, infatti, che le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari.
Tuttavia, appare possibile rinvenire un margine di applicabilità di una disposizione di tal guisa, nei confronti dei successibili ex lege diversi dai legittimari. Tale problematica si pone altresì in collegamento con la ammissibilità delle disposizioni testamentarie di carattere negativo.
Sul punto si sono susseguite negli anni numerose teorie dottrinarie ed interpretazioni giurisprudenziali sino al recente intervento della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 8352 del 2012 che rappresenta un approdo fondamentale in materia successoria.
Appare opportuno fare dei brevi cenni sulle tesi contrapposte che, prima di tale importante pronuncia, animavano dottrina e giurisprudenza.
La dottrina minoritaria seguita anche dalla giurisprudenza di merito, riteneva valida ed efficace la disposizione testamentaria avente contenuto negativo con la quale il decuius escludeva un successibile ex lege che non fosse legittimario. Tale tesi trovava fondamento nei principi di libertà e sovranità del testatore che così come poteva disporre di tutti o parte dei suoi beni pretermettendo i suoi successori legittimi, così poteva giungere al medesimo risultato attraverso una disposizione espressa.
Nessuna contrarietà con l'art. 587, comma 1 che recita : " Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse", in quanto secondo tale ricostruzione ermeneutica il significato del verbo "disporre" non è da intendersi in senso tecnico-giurdico, come attribuzione positiva ma genericamente come volontà dispositiva in senso lato, estrinsecabile anche con disposizioni di carattere negativo.
La dottrina maggioritaria, invece, riteneva, proprio alla luce dell'art. 587 c.c. che il testatore laddove volesse validamente escludere dall'eredità un erede legittimo, dovrebbe necessariamente ricorrere alle forme tipiche di istituzione di erede o di legato. Inoltre, il decuius non potrebbe derogare alle cause legittime di esclusione dalla successione poste dalla legge e tassative, quali quelle previste dall'art. 463 c.c. .
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8352 del 25/05/2012, nel solco già tracciato da alcuni pronunciamenti volti, in realtà, ad attenuare il rigore della tesi negativa, temperandone le conseguenze in ossequio al principio del favor testamenti, ha affermato il seguente principio di diritto : "E' valida la clausola del testamento con la quale il testatore manifesti la propria volontà di escludere dalla propria successione alcuni dei successibili".
La Cassazione, dunque, abbracciando la tesi più liberale, ha ritenuto valida tale clausola muovendo dal generale principio di autonomia testamentaria, fornendo una conseguente interpretazione degli artt. 587 e 588 c.c. . In particolare nell'art. 587 c.c., il legislatore codicistico non ha voluto riferirsi al termine tecnico di disposizione ma a quello generico di manifestazione di volontà del testatore in relazione all'assetto post mortem dei suoi beni.
Ciò è, altresì, confermato da numerosi articoli del codice civile ( a titolo esemplificativo: art 629 c.c., disposizioni a favore dell'anima; art. 737 c.c., dispensa da collazione) che contemplano disposizioni di indiscusso contenuto patrimoniale, sia pur non implicanti attribuzioni in senso tecnico e autonome rispetto alle previsioni cui all'art. 588 c.c.
Si giunge, dunque, al riconoscimento della mera volontà ablativa, o ancor meglio destituiva del testatore, volta a estromettere dalla sua successione un successibile legittimo, attraverso una disposizione avente contenuto patrimoniale, rientrante de plano nel campo di applicabilità degli artt. 587 e 588 c.c. .
In conclusione si può affermare che la clausola di diseredazione integra un atto dispositivo delle sostanze del testatore,costituendo espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, che può includersi nel contenuto tipico del testamento.
Anna De Miccolis Angelini, avvocato. E-mail: anna_de_miccolis@hotmail.com
http://www.linkedin.com/pub/anna-de-miccolis-angelini/49/504/447