di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 27528 del 10 Dicembre 2013. E' responsabile il medico che non informa la paziente circa il rischio di una nascita indesiderata?
Secondo quanto afferma la cassazione dipende dai casi. La risposta infatti non è così scontata e la situazione va analizzata nel caso concreto.
Nella fattispecie presa in esame dalla corte la gestante non era stata informata del fatto che il nascituro potesse risultare affetto dalla sindrome di down.
Il medico ginecologo che ha seguito la donna durante tutto il periodo di gestazione avrebbe dissuaso la stessa de effettuare l'esame dell' amniocentesi, al fine di verificare la presenza di eventuali malformazioni nel feto. In corso di causa sarebbe stato inoltre provato un precedente, in famiglia, di bambino anch'egli affetto da sindrome di down. Il medico avrebbe invece suggerito di effettuare un esame alternativo all'amniocentesi, a suo dire sostanzialmente identico ma meno invasivo, senza rischio di aborto. In questo modo ci sarebbe stata una errata comunicazione informativa, che ha privato la donna della possibilità di interrompere la gravidanza.
Scaduti i primi novanta giorni di gestazione, il giudice di primo grado aveva accertato la non sussistenza di alcuna grave patologia a carico della donna che ne potesse giustificare in qualsiasi modo l'interruzione di gravidanza; per tale motivo aveva respinto la domanda di risarcimento. E nemmeno sarebbe stata provata la condotta negligente del sanitario. In secondo grado la Corte d'appello effettivamente riscontrava un difetto di informazione in capo al medico, costituito dalla circostanza che lo stesso non avrebbe effettuato alcun esame essenzialmente utile per diagnosticare la sindrome di down. Mancava però ancora la prova del nesso causale.
La questione viene sottoposta alla Suprema Corte, la quale tuttavia rileva come non sia stata in alcun modo raggiunta la prova fondante la richiesta, avallando così la tesi del giudice del merito. Essa ricorda come "la questione dell'onere della prova in relazione alla fattispecie legale dell'interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi novanta giorni (…) che consente detta interruzione quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna". Nessun rischio provato. Dunque, non sarebbe configurabile, in questo caso, un danno da nascita indesiderata: secondo consolidato orientamento della Corte sarebbe "onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se la gestante fosse stata informata delle malformazioni del concepito, si sarebbe determinato un grave pericolo per la sua salute ed avrebbe deciso di interrompere la gravidanza". Una lettura strettamente giuridica della questione, che avrà sicuramente forti ripercussioni sul piano etico.
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