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Una coppia innamorata e' attraversata dall'amore che come un vento caldo sposta le cose ma non le distrugge. A distruggere tutto ci pensano le tormente emozionali. Nell'oceano dei conflitti e dei rancori si inabissano anche i più grandi amori.
E quando un amore naufraga si innescano nella coppia meccanismi di ostilità tali da indurre le parti persino a mentire dinanzi a un magistrato, con il rischio anche, di commettere reati, come reato di calunnia.
Ma può costituire calunnia ogni falsa rappresentazione della realtà che si traduca in una falsa accusa, nei confronti dell'ex partner, di aver contravvenuto a un provvedimento del giudice?
La risposta è no. E ce lo ricorda la Corte di Cassazione che con la sentenza n.27729 del 2013 si è occupata del caso di un uomo condannato in primo grado per il reato di calunnia ai sensi dell' art. 368 codice penale per aver accusato falsamente la moglie di avergli negato di vedere la loro figlia, contravvenendo così ad una ordinanza del giudice che aveva regolamentato i diritti di visita del padre.
L'uomo però veniva assolto in secondo grado perché la Corte d'Appello riteneva che, essendoci all'interno della famiglia una forte tensione relazionale, l'uomo sulla scorta di ciò aveva maturato la convinzione che dietro al rifiuto della figlia vi fosse una condotta induttiva o impositiva della madre.
Nella realtà dei fatti era stata la minore a decidere di non avere gli incontri con il padre, ma l'uomo ignorando tutto ciò aveva inevitabilmente collegato il rifiuto agli incontri alla condotta ostile della ex moglie.
La donna proponeva ricorso in Cassazione ma il ricorso non trovava accoglimento perché la Suprema Corte puntualizzava che: ""L'elemento soggettivo del reato di calunnia richiede la consapevolezza dell'innocenza del soggetto incolpato e, pertanto, tale elemento è escluso nel caso in cui l'errata convinzione della colpevolezza derivi da una errata interpretazione soggettiva della realtà non dettata da intento fraudolento."
L'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato può riguardare fatti storici completi o anche profili valutativi della situazione oggetto di causa.
Dunque, in questo caso specifico l'uomo aveva creduto erroneamente che fosse stata la moglie ad impedire gli incontri con la figlia viste le particolari tensioni familiari, quindi, in buona fede aveva falsamente interpretato i fatti.
In considerazione di ciò, la Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava la parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali.