Il dolo è "decisione per l'illecito" (…) il criterio dell'accettazione del rischio, non può valere ad indicare la struttura del dolo. Piuttosto, essa serve ad indirizzare l'accertamento dell'esistenza di quella "decisione per l'illecito" che davvero caratterizza il comportamento doloso. (…) Come è stato osservato, l'accettazione del rischio non è un vero processo mentale; potrebbe dirsi che essa è la parafrasi della genesi e della persistenza di una decisione per l'illecito che giunge sino all'esaurimento della condotta con la produzione dell'evento. (…) L'accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi l'evento non direttamente voluto, pur coscientemente prospettatosi (…). I segnali perspicui non possono che riguardare lo specifico evento che si intende porre a carico del garante omittente; essi devono essere stati percepiti ed assunti nel loro reale significato dal soggetto di cui trattasi; una condizione di dubbio circa la loro significatività non è di per sé incompatibile con l'accettazione dell'evento. (…) Il dubbio corrisponde ad una condizione di incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell'illecito, ad una decisione per l'illecito; a che ove concretamente superato, avendo l'agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l'evento, volitiva mete accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale".
Questo è quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 36399 del 23/05/2013.
Siffatta pronuncia prende le mosse da un giudizio instauratosi dinanzi al Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Lamezia, ove si giudicava della responsabilità del primario del reparto di psichiatria dell'Ospedale di (omissis), imputato per aver concorso negli abusi sessuali e nei maltrattamenti compiuti da parte di un medico e altro personale (nella specie infermiere) dello stesso reparto, da essa diretto, in danno di alcune pazienti ivi degenti.
Condannata in primo grado e poi, in appello, l'imputata proponeva ricorso per Cassazione.
Già nel primo grado di giudizio, così come poi confermato anche dai giudici dell'appello, essa veniva giudicata responsabile di concorso nei reati sopra citati, per non averne - in ragione della propria posizione - impedito la consumazione, pur avendone l'obbligo, e per non aver - pur avendone il potere - attivato le procedure necessarie ad evitare il concreto protrarsi di siffatte condotte illecite; e dal momento che - come risultato nel corso dei due gradi di giudizio, si rinveniva che essa fosse "nelle condizioni di prospettarsi il rischio del verificarsi dei fatti illeciti, per la presenza di segnali perspicui e peculiari e per l'anormalità di detti sintomi".
Si ascriveva così, la responsabilità dell'imputata sotto il titolo e secondo le forme del dolo eventuale, ritenendo sufficiente, per l'esistenza di tale responsabilità la "coscienza che il proprio mancato intervento avrebbe contribuito al protrarsi del fatto commissivo altrui, accettandone quanto meno il relativo rischio di verificazione dell'evento.
"La responsabilità penale per reato omissivo improprio (o reato mediante omissione) presuppone la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata, dalla quale deriva l'obbligo di attivarsi per la salvaguardia del bene: obbligo che si attualizza in ragione del perfezionarsi della c.d. situazione tipica. In presenza di tali condizioni la semplice inerzia assume significato di violazione dell'obbligo giuridico (di attivarsi per impedire l'evento) e l'esistenza di una relazione causale tra omissione ed evento apre il campo all'ascrizione penale, secondo la previsione dell'art. 40 cpv. c.p.
In altre parole, "in tema di concorso mediante omissione nel reato commissivo (…), perché possa aversi responsabilità del garante, occorre che questi si sia rappresentato l'evento, nella sua portata illecita; tale rappresentazione può consistere anche nella prospettazione dell'evento come evenienza solo eventuale. (…) Sul punto, la giurisprudenza riconosce che il garante possa rispondere anche a titolo di dolo eventuale per non aver impedito la commissione di un reato da parte di altri. In tal senso, tra le ultime, Sez. 3, n. 28701 del 12/05/2010, per la quale "la responsabilità penale per omesso impedimento dell'evento può qualificarsi anche per il solo dolo eventuale, a condizione che sussista, e sia percepibile dal soggetto, la presenza di segnali perspicui e peculiari dell'evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità".
Ciò premesso - aggiunge
"Al fine di evitare un simile esito, non può farsi a meno di rifiutare concetti quali "prevedibilità" o "conoscibilità", che rimandano alla struttura della colpa, ed accordare preferenza alla reale "previsione" dell'evento che, in quanto in itinere si è ancora in condizioni ed in dovere di impedire (…) Orbene, perché si realizzi non è certo sufficiente che si accerti la violazione dell'obbligo di attivarsi, poiché l'oggettivo inadempimento non dice ancora nulla in ordine al profilo soggettivo dell'autore del fatto. Quanto, invece, all'elemento soggettivo è sufficiente che il "garante" abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l'evento (nei delitti dolosi); sicché risponde del reato l'amministratore titolare che conosceva i suoi doveri giuridici di vigilare sul comportamento dell'amministratore di fatto e aveva coscientemente omesso di esercitarli, con ciò accettando il rischio che l'amministratore effettivo commettesse i reati tributari che egli aveva il dovere di impedire)".
"Neppure è sufficiente che siano "oggettivamente" rinvenibili quei "segnali perspicui e peculiari in relazione all'evento illecito" (Cass., Sez. V, n. 23838 del 04/05/2007), ma è necessario che si dia dimostrazione che quei segnali siano stati colti nel loro compiuto significato descrittivo dal garante in questione, questi infatti, "possono essere sottovalutati, malamente interpretati". Ciò indirizza verso un comportamento colposo, non certo doloso!. Va data quindi la prova di una corretta elaborazione dei segnali; prova che è, senza'altro, legata alla valutazione delle capacità intellettive del soggetto, e alla stessa evidenza e significatività dei segnali; il giudice deve dimostrare con adeguata motivazione di aver analizzato come quei segnali sono stati elaborati".
Oggetto del dolo - ancorché eventuale, non può essere, dunque, la stessa condotta omissiva, come affermato dai giudici dell'appello, quanto, piuttosto, lo specifico reato che andava impedito.
Ci si chiede allora, se tale consapevolezza di cui
Ciò detto, non può dimenticarsi, aggiunge
"La giurisprudenza fa proprio il criterio dell'accettazione del rischio, per il quale ricorre il dolo eventuale quando l'agente/omittente abbia tenuto la condotta tipica nella previsione dell'evento accettando la sua verificazione (quale evenienza accessoria al conseguimento dell'obiettivo prefissato), laddove nella colpa cosciente alla previsione dell'evento si accompagna la mancata accettazione dello stesso. Tuttavia, la declinazione del criterio - è piuttosto variegata: "ora si afferma che sussiste il dolo eventuale quando "chi agisce non ha il proposito di cagionare l'evento delittuoso, ma si rappresenta la probabilità - od anche la semplice possibilità - che esso si verifichi e ne accetta il rischio"; ora si rimarca il fatto che "l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria condotta, e ciononostante agisca accettando il rischio di cagionarle"; oppure si evoca "la consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione nonché dell'accettazione volontaristica del rischio" (Cass. Sez. Un. 12 ottobre 2003, n. 748/1994); non solo. (…) in alcune decisioni si pone l'accento sull'alternativa astrattezza/concretezza della previsione dell'evento: nel dolo eventuale l'evento viene previsto come concretamente possibile mentre nella colpa cosciente la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta, percepita dl reo come non concretamente realizzabile (Cass. sez. 4, 10.02.2009, n. 13083; Cass. sez. 5, 17.9.2008, n. 44712; Cass. sez. 1, 14.06.2001, n. 30425 e la giurisprudenza in essa richiamata); in altre si enfatizza il mancato superamento del dubbio circa la verificazione dell'evento quale connotato essenziale del dolo eventuale (Cass. sez. 4, sent. n. 11222 del 18.02.2010)".
Ciò detto, "il dato che più di tutti merita attenzione è che dolo eventuale e colpa cosciente non si pongono per nulla come concetti limitrofi, (…) si tratta di una osservazione tanto banale, quanto utile, perché chiarisce che non sono le forme che possono riconoscersi nella previsione dell'evento (astratta/concreta; evento probabile/possibile/certo) a poter assurgere di per sé a canone distintivo. Come è stato già affermato, la previsione assume rilievo quale indice di quella particolare volizione che si presenta nelle forme dell'accettazione del rischio: quanto più la previsione dell'evento è "concreta" o propone come certo il verificarsi dell'evento, tanto più potrà dirsi che l'agente/omittente ha accettato e quindi voluto l'evento (…) Come è stato scritto da autorevole dottrina il dolo è "decisione per l'illecito", laddove la colpa è rimproverabilità della violazione di una regola cautelare che può essere anche totalmente ignota all'autore del fatto. Peraltro, "l'accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi l'evento non direttamente voluto, pur coscientemente prospettatosi … altrimenti si avrebbe la (inaccettabile) trasformazione di un reato di evento in reato di pericolo". Non solo. Perché esso sia tale è necessario che l'accettazione del rischio concerna proprio l'evento tipico. Quanto poi ai segnali percepiti dall'omittente, essi devono essere stati percepiti ed assunti nel loro reale significato dal soggetto di cui trattasi; una condizione di dubbio circa la loro significatività non è di per sé incompatibile con l'accettazione dell'evento".
(…) E in ogni caso, "non appare sufficiente verificare che il soggetto è stato consapevole di causare con il proprio comportamento una situazione di pericolo per beni di altrui appartenenza, senza distinguere di quali beni (nella rappresentazione dell'autore) si trattasse. Ponendo sul medesimo piano la previsione della minaccia e la previsione dell'abuso sessuale".
Altra e diversa situazione è il dubbio, il quale "descrive una situazione irrisolta, perché accanto alla previsione della verificabilità dell'evento vi è la previsione della non verificabilità. Il dubbio corrisponde ad una condizione di incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell'illecito, ad una decisione per l'illecito; a che ove concretamente superato, avendo l'agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l'evento, volitiva mete accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale (Cass. Sez. 1, n. 30472 del 11/07/2011).
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