Dott. Carmelo Cataldi - In questi giorni i governi italiano e indiano ed i media di entrambe le nazioni, si stanno rimpallando tesi contrastanti e paradossali, in alcuni casi destituite di ogni fondamento giuridico, sulla possibilità o meno che i nostri Marò possono essere alla fine condannati per un reato che prevede in India la pena capitale mediante impiccagione.
Questo perché l'India è uno di quei paesi al mondo dove è in vigore la pena di morte per reati particolarmente efferati e gravi.
La vicenda, anche se sommariamente, avrebbe dovuto, e deve essere, trattata con molta delicatezza, contrariamente a come hanno fatto tutti gli interlocutori, istituzionali e non, finora affacciatasi sulla piattaforma mediatica, considerato che in gioco vi sono interessi sovranazionali, ma soprattutto la vita di due soldati, due soldati italiani!
Se si vuole dare consistenza giuridica alla questione bisogna partire inizialmente dall'assunto che l'India è uno stato sovrano, che ha nella sua potestà giuridica i due Marò e che fintanto che non interverrà un'autorità sovranazionale (O.N.U. o C.I.G. T.I.D.M.) a sottrargli questa autorità, essa si troverà in una posizione di piena giurisdizione penale e civile.
Detto questo bisogna dire che in India la pena di morte è prevista sia nel codice penale che in leggi ad hoc riguardanti materie diverse non espressamente indicate nel codice, ancorché, in forma generale e imperativa, contemplata dalla Costituzione Indiana all'art. 21.
Ma vediamo, preliminarmente, quali sono i casi, oltre quello di omicidio volontario a carattere generale penale, previsto dall'art. 302 del codice penale dell'India, in cui è prevista la condanna a morte del reo.
Sempre il codice penale indiano prevede la pena capitale per i reati di omicidio o tentato omicidio, commessi da colui che sta scontando una pena detentiva all'ergastolo, ai sensi dell'art. 307, l'Induzione al suicidio diun minorenne o di un ritardato mentale ai sensi dell'art. 305, quindi i reati di Cospirazione contro il Governo, la Diserzione o la tentata diserzione e l'Intraprendere o tentare di intraprendere una guerra contro il Governo centrale.
Oltre al Codice Penale Indiano, altri Codici, quelli militari, quali l'Armi Act e l'Air Force Act del 1950 e il Navy Act del 1956, prevedono la pena capitale per alcuni reati specifici in cui l'India, arbitrariamente, se volesse, potrebbe far rientrare il caso dei due Marò.
Più leggi speciali hanno previsto nel tempo la possibile applicazione della pena capitale per reati gravi ed in particolare:
la Commission of Sati Prevention Act del 1987 che prevede la pena di morte per chi istiga una vedova al suicidio sacrificale (sati), quando l'atto viene portato all'estreme conseguenze;
la Narcotic Drugs and Psychotropic Substances Amendment Act del dicembre del 1988, che contempla, per la seconda condanna per traffico di sostanze stupefacenti, la pena capitale;
la Prevention of Terrorism Act (POTA) del 2002 sostituita dalla Unlawful Activities (Prevention) Bill, che ha peraltro emendato l'Unlawful Activities (Prevention) Act del 1967 al fine di prevedere penalmente i casi di terrorismo ed in forza della quale i condannati per terrorismo possono essere puniti con la pena di morte o l'ergastolo per ogni atto che provochi la perdita di vite umane;
la Petroleum and Minerals Pipelines (Acquisition of Right of User in Land) Amendment, Bill del 2011 con cui è prevista la pena di morte per coloro che compiono atti di terrorismo come il sabotaggio, quando questo sia talmente pericoloso da poter causare la morte di esseri umani.
Sull'onda negativa della sequenza di stupri avvenuta nel 2012, il 5 aprile 2013 è entrata in vigore la legge anti stupri che prevede ergastoli e condanne a morte per coloro che vengono condannati per il reato di stupro, e punizioni severe per reati connessi come le aggressioni con l'acido, lo stalking e il voyeurismo.
Questa recentissima legge prevede condanne al carcere duro per almeno 20 anni, che può essere esteso fino all'ergastolo, e altre disposizioni che permettono alle Corti di emettere una condanna a morte per coloro che sono stati condannati in precedenza per gli stessi delitti.
Ed infine, interessante per il caso in questione dei due Marò, la The Suppression of Ulawful Act Against Safety of Maritime Navigation and Fixed Platforms on Continental Shelf Act, del 2002, che prevede all'art. 3 lett. g, 1° punto, la pena di morte per colui che determina la morte di qualcuno nella commissione o durante il tentativo di commettere, uno dei reati di cui ai punti (a) ossia un atto di violenza contro una persona a bordo di una piattaforma fissa o di una nave, mettendo in rischio la sicurezza della piattaforma o, a seconda dei casi, della navigazione sicura della nave, e (d) ossia nel collocare su una piattaforma fissa o su una nave, da qualsiasi mezzo, un dispositivo o sostanza in grado di distruggere una piattaforma fissa o una nave, o creare un danno alla piattaforma o alla nave o al suo carico, mettendo in pericolo anche solo potenzialmente la piattaforma fissa o la navigazione sicura di quella nave.
Che l'India voglia andare verso un'incriminazione dei nostri Marò ai sensi di questa legge, che prevede la pena capitale, è del tutto evidente in quanto ha incaricato delle indagini la NIA, un'agenzia federale che si occupa specificatamente di reati previsti dalla SUA Act!
La prassi vuole che le condanne a morte, pronunciate in primo grado, devono essere confermate dalla Corte Suprema la quale ha più volte però ribadito che, al fine di ridurre al minimo l'uso della pena di morte, si può sostituire la condanna a morte con l'ergastolo, quando ad esempio il reo ha già scontato una lunga detenzione e le precarie condizioni socio-economiche assurgono a circostanze attenuanti preponderanti che possono condurre, dunque, alla commutazione in ergastolo di una condanna capitale.
Nel sistema legislativo, ovvero, nella Costituzione stessa è previsto che la pena di morte può essere dal Presidente commutata, sospesa o rinviata o ancora può essere concessa la grazia .
Il National Crimes Record Bureau (NCRB) indiano, afferma che tra il 2001 al 2011, i vari tribunali del Paese hanno condannato a morte 1.460 persone e varie Alte Corti hanno commutato in carcere a vita le condanne a morte di 4.321 prigionieri, mentre Amnesty International dichiara che circa 78 nuove condanne a morte sono state comminate nel 2012 e alla fine di marzo 2013 erano 404 i detenuti nel braccio della morte in varie prigioni del Paese.
Considerato che i presupposti oggettivi e legislativi vi sono tutti, occorre sottolineare che l'eventualità di un una condanna, e soprattutto di una condanna a morte, necessità preliminarmente di una definitiva attribuzione del caso alla giurisdizione indiana, secondariamente che la condotta dei due Marò sia riconosciuta determinante per la morte dei due indiani e quindi che questa sia fatta rientrare in una delle fattispecie codicistiche o legislative su elencate.
Tutti elementi che al momento restano purtroppo in piedi e che l'India sembra costituirsi serenamente, senza alcuna determinante azione di contrasto del Governo Italiano e che sono potenzialmente attraibili sia su una giurisdizione ordinaria interna, attraverso una forzatura giudiziaria e direi ormai anche politica, e per cui i due Marò potrebbero essere imputati, aldilà dell'effettività legale dell'azione processuale, anche di semplice omicidio volontario per cui è prevista, come è stato illustrato, la pena di morte, oppure su una giurisdizione para-internazionale, con cui, in ogni caso, gli possono, stante l'attendismo del Governo Italiano, attribuire la violazione dell'art. 3 della SUA Act, con conseguente condanna a morte perché dall'azione ne sono scaturite conseguenze mortali per i due pescatori indiani.
Non è dunque un'ipotesi peregrina e remota, anzi vista la lenta e pacifica evoluzione processuale del caso, senza che il nostro Governo abbia fatto di recente qualche passo sostanziale, anche forte, per riaffermare la giurisdizione italiana sulla vicenda attraverso un arbitrato internazionale al Tribunale Internazionale del Diritto del Mare di Amburgo (International Tribunal for the Law of the Sea, ITLOS) o alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja (International Court of Justice, ICJ), è molto probabile che dopo l'incriminazione formale si passi al processo ed all'eventuale condanna e quindi tutte le ipotesi sono aperte, tra cui anche la condanna a morte!
La soluzione del caso, e il Governo Italiano dovrebbe ormai prenderne atto, perché l'india ormai sta procedendo per la sua strada, sta nel citare l'India davanti alla C.I.G. o al T.I.D.M. e vedersi riconosciuta definitivamente (e direi con molte probabilità, anche soltanto per sottrarre i due soldati ad una ipotetica condanna a morte in India) la giurisdizione sui Marò.
Il resto, è tutta metafisica!
Dr. Carmelo Cataldi