La Corte di Cassazione, con sentenza n. 956 del 13 gennaio 2014, ha respinto il ricorso di un datore di lavoro avverso la decisione con cui era stato ritenuto colpevole, quale amministratore unico di una Società, del reato ex art.163 del D.lgs. n.81 del 2008 per avere omesso di installare la necessaria cartellonistica che informasse di una situazione di pericolo e, in particolare, di una piattaforma esistente al cancello d'ingresso del piazzale aziendale utilizzato dai mezzi di trasporto.
Il Tribunale aveva ritenuto che lo scontro avvenuto fra un automezzo in entrata e la piattaforma sovrastante l'accesso avesse messo in evidenza l'omessa adozione della necessaria cautela oggetto della fattispecie legale. La Suprema Corte - ritenendo infondato il motivo di ricorso del datore di lavoro il quale lamentava un'errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per avere il giudice, non applicando correttamente gli artt. 2 e 163 della legge citata, applicato una revisione che si dirige ai soli dipendenti del "datore di lavoro" e che non può avere come riferimento coloro che non sono legati all'azienda da un rapporto di lavoro, come appunto il conducente di un automezzo di altra ditta che faceva ingresso nel piazzale, per il quale possono valere i principi di responsabilità fissati dall'art. 2051 cod. civ. - condivide il principio di diritto fissato con la sentenza
, n. 23147 del 17 aprile 2012, secondo cui: "In tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all'inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi.".Tale principio - precisano i giudici di legittimità - risponde all'esigenza di prevenzione in favore di tutti coloro che vengono in relazione con i luoghi di lavoro, tale dovendosi intendere anche il piazzale e il relativo accesso utilizzati per il transito e lo stazionamento dei mezzi che trasportano beni necessari per l'attività produttiva.
E' evidente - si legge nella sentenza - che l'accesso di un automezzo non può dirsi occasionale o imprevisto e del resto, la lettura del comma secondo dell'art.163, citato, rende evidente che al datore di lavoro è fatto obbligo di apporre tutti i segnali stradali necessari alla regolazione del traffico interno al luogo di produzione e all'opificio, cosi confermandosi in modo inequivoco la finalità e il contenuto delle regole di prevenzione che non possono che avere come riferimento tutti coloro che vengono a trovarsi coinvolti nella mobilità interna.