Il medico ricorrente, con un intervento diretto ad aumentare il seno della paziente, ne peggiorava l'aspetto estetico cagionandone una malattia superiore ai 40 giorni.
La Suprema Corte non ritiene applicabile alla fattispecie l'articolo 3 della legge Balduzzi, con il quale viene depenalizzata la colpa lieve in determinate circostanze; la norma infatti esclude la responsabilità penale dell'esercente una professione sanitaria se nel suo operato si attiene alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Nel caso trattato, tuttavia, non ricorrono gli elementi descritti dalla norma. Nel comportamento dell'imputato si accerta infatti la "colpa grave" rinvenibile "nell'errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell'uso dei beni manuali o strumentali adoperati nell'atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria".
Anche le considerazioni in merito al rilascio del consenso informato, proposte dalla parte ricorrente, non valgono a escludere la responsabilità penale del medico. Statuisce infatti la Suprema Corte che l'acquisizione del consenso informato