di Marco Massavelli - Niente risarcimento dei danni al pedone che, passeggiando lungo una strada dissestata, inciampa a causa di un tombino malfermo e cade. L'incidente, in casi del genere è facilmente prevedibile, e quindi può essere attribuito all'esclusiva responsabilità del pedone che poteva adottare un atteggiamento più prudente.
Anche in relazione all'ipotesi di responsabilità gravante sul custode, il comportamento colposo del danneggiato può atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell'articolo 1227, comma 1, codice civile, ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilità del custode.
Questo principio è stato ancora una volta ribadito dalla Corte di Cassazione Civile, con la sentenza 20 gennaio 2014, n. 999 qui sotto allegata.
Il caso trattato dalla Suprema Corte di legittimità riguarda un pedone che lamentava di aver subito danni per essere inciampato in un tombino con il coperchio malfermo.
Ne era scaturita una richiesta di risarcimento del danno nei confronti dell'ente proprietario della strada. Il danneggiato nel corso del giudizio aveva sostenuto che il tombino instabile non era visibile e che l'insidia non era prevedibile per chi transitasse su quella strada.
In tema di danno da insidia stradale, la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell'insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.
In materia di risarcimento danni da insidie stradali, la questione principale da tenere in considerazione è se l'applicabilità dell'articolo 2051, codice civile, nei confronti della P.A. o dell'ente proprietario/gestore della strada non sia automaticamente esclusa allorquando sia stato accertato in concreto sia che il bene demaniale o patrimoniale da cui sia originato l'evento dannoso risulti adibito ad un uso generale, sia che lo stesso si presenti di notevole estensione e che tali caratteristiche ricorrano entrambe.
Alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, si afferma ormai costantemente che l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume, ai sensi dell'articolo 2051, codice civile. responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile (Cass., 12 aprile 2013, n. 8935; Cass., 18 ottobre 2001, n. 21508).
L'attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale: la norma dell'art. 2051 cod. civ., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa.
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