Concussione, induzione indebita e corruzione - Criteri discretivi dopo la legge 190 del 2012
Pochi giorni fa un chiaro atto d'accusa da parte della Commissione UE è stato rivolto all'Italia con riguardo al preoccupante fenomeno della corruzione, in grado non solo di danneggiare l'economia, ma anche di minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e nello Stato di diritto.
Secondo la Corte dei Conti, i costi di questo fenomeno ammontano ogni anno a circa 60 miliardi di euro. Nel primo rapporto europeo sul tema, l'esecutivo comunitario, prendendo tuttavia atto dei progressi fatti nel nostro paese a livello normativo, denuncia una mancata piena trasposizione della direttiva europea per combattere la corruzione.
Infatti, la nuova legge anticorruzione - l. 190/2012 - lascia irrisolti molti problemi perché non introduce l'autoriciclaggio, una più efficace disciplina sul voto di scambio e modifiche sui termini prescrittivi. Bruxelles suggerisce di migliorare le disposizioni introdotte su corruzione e concussione che, essendo "frammentate" rischiano di dare adito ad ambiguità ed incertezze interpretative.
A tal proposito, la Cassazione penale, sez. VI 3 maggio 2013 n. 19190, è intervenuta per dare soluzione a uno dei problemi più delicati che la riforma sta prospettando, quello cioè relativo all'individuazione dei criteri discretivi tra la concussione (per costrizione) nella quale il privato è vittima, quella di induzione, nuova ipotesi delittuosa prevista dall'art. 319 quater c. p., introdotta dalla medesima l. n. 190 (nella cui struttura il privato è concorrente necessario) e quella di sollecitazione punita dal comma quarto dell'art. 322 c.p.
Ebbene, anche dopo l'introdotta novella legislativa, la Cassazione ha aderito all'orientamento giurisprudenziale, già da tempo affermato, secondo cui la mera richiesta di denaro, anche reiterata, da parte del pubblico ufficiale - comunque rifiutata - non integra il reato di concussione, neppure nella forma del tentativo, ma configura reato di istigazione alla corruzione di cui al quarto comma dell'art. 322 c.p.
Infatti, la condotta di sollecitazione prevista dal citato articolo si distingue da quella di costrizione quale azione tipica del pubblico ufficiale (ex art. 317 c.p.) che si risolve in un'autentica minaccia, intesa come prospettazione di un male ingiusto ed idonea così ad incidere in modo essenziale nella libera determinazione del soggetto passivo.
Particolari difficolta si riscontrano nel delimitare i confini tra l'indebita induzione e la corruzione, essendo le due fattispecie maggiormente affini. Occorre premettere che, sul piano sistematico, l'entità della pena più ridotta per il privato che dà o promette nell'induzione indebita rispetto alla più grave pena per il corruttore è indice del fatto che il legislatore abbia considerato la nuova ipotesi delittuosa delineata dall'art. 319 quater c.p. come un'autentica corruzione attenuata dall'induzione indebita.
Ebbene, premesso ciò, la distinzione tra queste due affini fattispecie, sostiene la Cassazione, non può che essere risolta verificando che sussista quell'abuso della qualità o dei poteri richiesti dall'art. 319 quater c.p.
Senonchè, la richiesta del pubblico ufficiale formulata senza pressioni o suggestioni idonee a piegare, ovvero a persuadere, il soggetto privato, integra il delitto di istigazione alla corruzione di cui all'art. 322, comma quarto, c.p., trattandosi "di una richiesta avanzata senza particolare insistenza, all'interno di un rapporto che la vicenda storico-fattuale consenta di ritenere concretamente caratterizzato da una totale parità di posizioni tra i soggetti che vi prendono parte, e oggettivamente, diretto al mercimonio dei pubblici poteri".
La compresenza, nel nostro sistema, di tre ipotesi delittuose particolarmente affini - concussione per costrizione, induzione indebita e corruzione - è senz'altro in linea con le istanze internazionali, ma al contempo non priva, come si è detto, di incertezze applicative.