di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 2455 del 4 Febbraio 2014. La sentenza in oggetto offre numerosi spunti di riflessione sul tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro. In generale, nel nostro ordinamento, è onere del datore di lavoro (o della persona da lui nominata) provvedere alla sorveglianza diretta dei sottoposti, al fine di evitare che gli stessi operino senza quelle precauzioni necessarie a garantire la loro sicurezza. Ciò poiché il datore di lavoro è sempre responsabile nei confronti del lavoratore, sia quando quest'ultimo ometta di adottare le opportune precauzioni (ad esempio, indossando caschetto, occhiali, calzature e guanti protettivi), sia quando il primo ometta del tutto la vigilanza circa l'adeguamento dei dipendenti alla normativa vigente. Il datore di lavoro va esente da responsabilità solo nel caso in cui venga integrato il c.d. "rischio elettivo", intendendosi con tale termine la circostanza per cui, con un comportamento assolutamente imprevedibile e abnorme, il dipendente agisce provocando danni a se stesso e ad altri. L'onere di provare la sussistenza del rischio elettivo grava sul datore di lavoro.
Nel caso di specie l'infortunio è stato causato dalla caduta di un operaio, impegnato nell'esecuzione di alcune opere di montaggio e smontaggio, da un'impalcatura.
Per questo tipo di lavoro è indispensabile che il soggetto sia dotato di cintura di sicurezza, debitamente agganciata, qualora non sia possibile disporre di impalcature di protezione o di parapetti. Se dagli atti di causa - attinti anche dal correlato procedimento penale - risulta che il lavoratore svolgeva la propria attività senza indossare né osservare idonee misure di prevenzione, allora la responsabilità dell'infortunio resta totalmente a carico del datore di lavoro. Relativamente al riparto di responsabilità tra datore e altri responsabili afferma la Suprema Corte che "ai fini della ripartizione di responsabilità stabilita, in via gerarchica, tra datore di lavoro, dirigenti e preposti, la figura del preposto ricorre nel caso in cui il datore di lavoro, titolare di una attività aziendale complessa ed estesa, operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità, e presuppone uno specifico addestramento a tale scopo oltre al riconoscimento, con mansioni di caposquadra, della direzione esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per l'attribuzione di compiti operativi nell'ambito dei criteri prefissati". Il termine "preposto" non può quindi essere esteso all'operaio professionalmente più anziano della squadra, il quale, sebbene conservi esperienza maggiore rispetto agli altri dipendenti, non gode di delega apposita né si è impegnato in specifico addestramento da capo squadra con i poteri di direzione e controllo esecutivo che ne derivano.Vai al testo della sentenza 2455/2014