Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, ordinanza 4 dicembre 2013 - 6 febbraio 2014, n. 2692.
«È ben vero che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento e, prescindendosi dall'accertamento della pericolosità della cosa stessa, sussistendo in relazione a tutti i danni da essa cagionati ed essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno (Cass. 7 aprile 2010, n. 8229; Cass. 13 luglio 2011, n. 15375); peraltro, le caratteristiche intrinseche della cosa possono costituire di per sé, in relazione alle condotte normalmente prevedibili - quand'anche non del tutto conformi a diritto, ove la violazione delle relative norme costituisca l'occasione dell'evento e non un'autonoma causa - da parte di coloro che con essa entrano in contatto, fonte della speciale responsabilità in esame, salvo beninteso il successivo esame dell'apporto causale, concorrente od esclusivo, della condotta del danneggiato (tra le altre, v. Cass. 22 marzo 2011, n. 6550)».
Ancora una volta la Cassazione torna a pronunciarsi in materia di risarcimento dei danni derivanti da cose in custodia ex art. 2051 c.c..
Oggetto del ricorso, la sentenza della corte di appello di Bologna, che confermava la pronuncia del Tribunale ordinario di Ferrara, di rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata dagli eredi della vittima di un incidente stradale occorso su un tratto di strada di proprietà della Provincia di Ferrara.
A giudizio della Corte, la responsabilità dell'evento dannoso era da ascrivere etiologicamente all'esclusiva condotta colposa della vittima, "la quale palesemente, procedeva ad una velocità non proporzionata alle condizioni di tempo e di luogo chiaramente percepibili; oltre il fatto che la strada non presentava obiettivamente alcuna imperfezione ed esisteva un segnale stradale di pericolo, di "curva pericolosa" proprio in prossimità del luogo dell'incidente.
Di pari avviso la Corte di Cassazione, la quale nel concludere per il rigetto della domanda così argomentava.
«Come, di recente, testualmente si esprime la Cassazione (17 ottobre 2013, n. 23584), l'art. 2051 cod. civ., stabilendo che "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito", contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all'irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa, all'adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi; a tanto, peraltro, fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa: quando il comportamento di tale secondo soggetto sia apprezzabile come incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito, che va bensì compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela; - e perfino quando la conclusione sia nel senso che, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa, la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi integrato il caso fortuito».
Di alcuna rilevanza e pertinenza risultano dunque, gli accertamenti richiesti dai ricorrenti in ordine ai sinistri già verificatisi nello stesso tratto di strada, visto che, comunque, «in ordine allo stato di questa nulla può imputarsi di specifico alla P.A. (…). Ritiene il "Collegio doversi qualificare le condotte di ogni proprietario di strada di costruirla e tenerla in condizioni tali da permettere in qualsiasi momento e in qualsiasi punto ai suoi utenti la velocità massima in tesi consentita, come pure di dotarla di specifici limiti di velocità, ulteriori rispetto alla segnalazione dell'esistenza di una curva pericolosa e quindi già di per sé tale da imporre all'utente di adottare ogni cautela nell'affrontarla, rapportando la propria concreta condotta di guida alle effettive esigenze e circostanze del caso».
«Correttamente è stato, allora, applicato alla fattispecie il seguente principio di diritto (Cass., ord. 30 agosto 2013, n. 19995): il proprietario di una strada non è responsabile, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., degli infortuni occorsi ai fruitori di quest'ultima, ove sia provata l'elisione del nesso causale tra la cosa e l'evento, quale può aversi, in un contesto di rigoroso rispetto di eventuali normative esistenti o comunque di una concreta configurazione della cosa in condizioni tali da non essere in grado di nuocere normalmente ai suoi fruitori avveduti e prudenti, nell'eventualità di accadimenti imprevedibili ed ascrivibili al fatto del danneggiato stesso - tra i quali una sua imperizia o imprudenza - o di terzi».
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