La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6328 del 19 marzo 2014, ha ricordato che "la giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell'estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto."
Nel caso preso in esame dalla Suprema Corte il giudice di primo grado, in merito all'accertamento della declaratoria di illegittimità dei licenziamenti disciplinari irrogati ad alcuni operai ritenne sproporzionata la sanzione rispetto al fatto addebitato (introduzione non autorizzata all'interno dello stabilimento, con permanenza sulla pedana di un carro ponte nella notte del..., nell'ambito di un'azione di protesta per il perdurare del collocamento in CIGS).
Nella specie la Corte ha accertato che alcuni lavoratori, appresa la notizia del perdurare della loro collocazione in CIGS a zero ore, si erano introdotti nell'area aziendale superando la barriera di ingresso e, velocemente inerpicandosi sulla scala antincendio, raggiungevano il tetto dell'opificio; nonostante i ripetuti inviti, anche da parte delle forze dell'ordine nel frattempo sopravvenute, a tornare sui loro passi, i lavoratori si erano introdotti nei locali dell'officina e, camminando su di una trave lunga circa duecento metri all'interno del reparto stampaggio, avevano raggiunto un carro ponte elettrificato sostando su di una pedana collocata ad un'altezza di 7-10 metri dal suolo, obbligando peraltro l'azienda a sospendere per tutta la notte una linea di produzione.
La Corte di merito - precisano i giudici di legittimità - ha correttamente ritenuto tale comportamento, in generale, gravemente lesivo del vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro subordinato, "per la grave violazione dei più elementari obblighi scaturenti dal rapporto e dei diritti dell'imprenditore all'esercizio dell'attività produttiva, ed in particolare in contrasto con l'art. 25 lett. B) del c.c.n.I. che sanziona con il licenziamento senza preavviso il "lavoratore che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale, o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge", ed in particolare (lett. e) per il compimento di "azioni che implichino pregiudizi all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti", evidenziando la riconducibilità dei fatti contestati alle predette ipotesi quanto all'ingresso in azienda invito domino; al pregiudizio all'incolumità propria e dei colleghi posti nel reparto stampaggio (come emerso dall'istruttoria), in parte sottostante alla posizione dei ricorrenti; alla violazione del diritto dell'imprenditore all'esercizio della sua attività produttiva (che risultò in parte sospesa per ragioni di sicurezza); ha quindi correttamente ritenuto che pur nell'ambito di una protesta il comportamento aveva assunto inammissibili contorni antigiuridici, violando comunque, anche per la lunga durata dell'azione, irrimediabilmente il rapporto fiduciario, ritenendo pertanto legittimo il licenziamento anche sotto il profilo della proporzionalità, evidenziando correttamente l'irrilevanza di un eventuale danno per l'azienda".
I lavoratori - si legge nella sentenza - contestano tale ampia e corretta valutazione dei fatti, senza tener conto che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa.