Avv. Silvia Delcuratolo
Infatti, nel caso di specie, la figlia, maggiorenne, aveva ammesso in giudizio di svolgere attività lavorativa, saltuaria ma tale da consentirle di essere economicamente autosufficiente e da provvedere al proprio mantenimento; per di più, la figlia era ormai più che trentenne e idonea al lavoro, anche se non laureata.
Di conseguenza, non potendosi considerare la figlia a carico dei genitori, viene meno nel caso in esame il presupposto per una pronuncia di assegnazione della casa coniugale alla madre convivente con la figlia.
Per giurisprudenza ampiamente consolidata, infatti, la casa coniugale non può essere assegnata al coniuge, ancorché economicamente più debole, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente con esso conviventi.
Ciò in quanto, secondo un principio generale, la casa coniugale viene assegnata al coniuge (anche non proprietario della casa) con cui abitano i figli - minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti - nell'esclusivo interesse dei figli stessi, e non certo nell'interesse del coniuge.
Invero, l'art. 337 sexies del codice civile stabilisce espressamente che "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli.".
Ovviamente, come previsto da detto articolo, "Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà.".
Nella recente sentenza n. 6020/2014, la Cassazione ha statuito che, in caso di separazione o divorzio, la casa coniugale non può essere assegnata al coniuge economicamente più debole, se non vi sono figli conviventi minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Nel caso di specie, il Tribunale dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio (ossia il divorzio) tra due coniugi, genitori di una figlia ormai maggiorenne, e rigettava la domanda della moglie di assegnazione della casa coniugale.
Infatti, nel caso di specie, la figlia, maggiorenne, aveva ammesso in giudizio di svolgere attività lavorativa, saltuaria ma tale da consentirle di essere economicamente autosufficiente e da provvedere al proprio mantenimento; per di più, la figlia era ormai più che trentenne e idonea al lavoro, anche se non laureata.
Di conseguenza, non potendosi considerare la figlia a carico dei genitori, viene meno nel caso in esame il presupposto per una pronuncia di assegnazione della casa coniugale alla madre convivente con la figlia.
Per giurisprudenza ampiamente consolidata, infatti, la casa coniugale non può essere assegnata al coniuge, ancorché economicamente più debole, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente con esso conviventi.
Ciò in quanto, secondo un principio generale, la casa coniugale viene assegnata al coniuge (anche non proprietario della casa) con cui abitano i figli - minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti - nell'esclusivo interesse dei figli stessi, e non certo nell'interesse del coniuge.
Invero, l'art. 337 sexies del codice civile stabilisce espressamente che "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli.".
Ovviamente, come previsto da detto articolo, "Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà.".
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Avvocato civilista e matrimonialista Silvia Delcuratolo
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