di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 8897 del 16 Aprile 2014. Il professionista che rivesta la funzione di amministratore all'interno della società ha diritto a percepire, ex art. 2389 cod. civ., un compenso rapportato alla sua attività. Tale diritto al compenso viene meno soltanto a fronte di una grave inadempienza dei suoi obblighi connessi al mandato. Inoltre, se l'amministratore non è un libero professionista ma un dipendente della società, al fine di contestare il compenso liquidatogli dall'assemblea deve agire in modo tempestivo. Per tale motivo è vanificata la domanda dell'amministratore, rivolta al giudice, di determinare il quantum delle proprie spettanze se la delibera assembleare ha preso forma ed è stata messa in esecuzione senza riserve. Il compenso non sarebbe stato pattuito all'inizio del mandato e, una volta stabilito dall'assemblea, il ricorrente avrebbe provveduto ad accettarlo senza riserve salvo poi sostenere che lo stesso sarebbe stato versato "a titolo di gratifica".
Nel fornire la soluzione alla questione la Suprema Corte si esprime nel senso di prendere atto delle differenze sussistenti tra un amministratore libero professionista e uno assunto con contratto interno (quest'ultimo rispecchiando il caso di specie): "in tema di compenso in favore dell'amministratore di società di capitali, che abbia agito come organo, legato da un rapporto interno alla società, e non nella veste di mandatario libero professionista, la facoltà dell'amministratore di insorgere avverso una liquidazione effettuata dall'assemblea della società in maniera inadeguata, per chiedere al giudice la quantificazione delle proprie spettanze, viene meno, vertendosi in materia di diritti disponibili, qualora detta delibera assembleare sia stata accettata e posta in esecuzione senza riserve". Il ricorso proposto dalla società viene accolto e la sentenza cassata con rinvio.
Vai al testo della sentenza 8897/2014