La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17027 del 17 aprile 2014, ha affermato che "l'art. 4, L. 300/1970 prescrive che gli impianti e le apparecchiature di controllo, la cui installazione sia dovuta ad esigenze organizzative e produttive, ovvero alla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza della attività dei lavoratori, possono essere montati e posizionati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in subordine, con la commissione interna.".
Non è, quindi, richiesto - si legge nella sentenza - che si tratti di controllo occulto, destinato a verificare la produttività dei lavoratori dipendenti, in quanto l'essenza della sanzione sta nell'uso degli impianti audiovisivi, in difetto di preventivo accordo con le parti sociali.
Con tali motivazioni la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una datrice di lavoro, ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 4 L. 300/1970 in relazione all'art. 114, D. Lgs. 196/2003, per avere installato un impianto di videosorveglianza senza avere richiesto l'autorizzazione all'Ispettorato del Lavoro.
Il giudice di merito - hanno affermato i giudici di legittimità - ha logicamente e correttamente argomentato in relazione alla concretizzazione del reato contestato e alla ascrivibilità di esso in capo alla prevenuta, richiamando puntualmente le emergenze istruttorie, assoggettate a analisi valutativa compiuta ed esaustiva.
Inoltre "risulta insostenibile la tesi difensiva della insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, secondo la quale la datrice di lavoro, nata e vissuta per lungo tempo negli Stati Uniti, avrebbe ignorato le prescrizioni imposte dallo statuto dei lavoratori, in quanto costei, quale datrice di lavoro, è soggetto tenuto alla conoscenza delle prescrizioni imposte a tutela dei propri dipendenti.".