Avv. Francesco Pandolfi - diritto militare
Il Consiglio di Stato ha evidenziato 4 criteri di base per individuare l'esistenza di un danno da perdita di chance:
a) accertamento dell'evento dannoso;
b) carattere "contra ius" del danno;
c) riferibilità dell'evento ad una condotta dell'amministrazione;
d) violazione di regole cui l'amministrazione è tenuta ad uniformarsi.
In particolare, dice il Supremo Giudice, si può ritenere "evidente la lesione del diritto soggettivo dell'appartenente alla Polizia Penitenziaria ad essere promosso ad un grado superiore, atteso che la disciplina contenuta nella Legge n° 395/90 espressamente garantisce l'avanzamento come effetto immediato e diretto di determinati presupposti di fatto quali il decorso del tempo".
Il Consiglio di Stato Sezione 4, con Sentenza del 28 ottobre 2013 n. 520, pronunziandosi in materia di arruolamento in Polizia Penitenziaria all'esito di un appello avverso la sentenza del Tar Piemonte Torino sez. I n° 3412/2007 concernente il risarcimento dei danni da mancata convocazione per arruolamento, ha riconosciuto la c.d. perdita di "chance", dovendosi ammettere che ove il concorrente avesse partecipato alle prove il candidato avrebbe avuto comunque probabilità di superarle (cfr. Cons. di Stato, sez. IV,n. 2678/2008 ) e quindi di essere arruolato prima di quanto poi avvenuto solo in esecuzione di altra sentenza ( sulla necessità di un adeguato grado di certezza a fondamento della domanda di risarcimento v., fra le altre, Cons. di Stato, sez. V, n. 6797/n. 2010 ), liquidando equitativamente tale voce di danno nella somma complessiva di euro 20.000,00 tenuto conto del tempo trascorso dalla mancata convocazione al successivo arruolamento disposto in esecuzione della pronuncia di altro giudice amministrativo periferico.
L'interessante pronunzia prendeva spunto dal caso proposto al vaglio del C.S.
Con ricorso al TAR del Piemonte, il sig. An. De. esponeva di aver chiesto, in precedenza, arruolamento presso il Corpo di Polizia penitenziaria, ricevendo un diniego che, tuttavia, su suo ricorso al TAR Campania veniva annullato (sent. 28.1.1999); a seguito dell'accoglimento del suddetto gravame il Ministero convenuto convocava il ricorrente ai fini dell'eventuale arruolamento nel settembre 1999. Sostenute e superate le prove psico-attitudinali, l'istante, in data 10/2/2001, veniva avviato al corso di formazione: quindi il De., frequentato e superato il corso di addestramento, veniva assunto ( in data 13/9/2001 con decorrenza dal 10/2/2001) a prestare in servizio a Torino con la qualifica di Agente.
Col ricorso al TAR Piemonte, il De., rilevando come l'illegittimo operato della P.A. si fosse tradotto nella preclusione di ottenere impiego e retribuzione correlata fin dal 1989, proponeva domanda per ottenere il risarcimento del danno a suo avviso patito ad opera dell'Amministrazione.
Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo respingeva le argomentazioni formulate dal ricorrente a sostegno dell'azione proposta; l'interessato, pertanto, impugnava la sentenza del TAR chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.
Si era costituito nel giudizio il Ministero della Giustizia resistendo al gravame e svolgendo, in successiva memoria le proprie controdeduzioni.
In punto di diritto, la controversia sottoposta alla Sezione verteva sulla spettanza di un risarcimento del danno ( per lucro cessante e danno emergente, da rapportare alle retribuzioni non percepite medio tempore, ovvero in subordine il danno da perdita di "chance"), a seguito del tardivo arruolamento nel Corpo di Polizia penitenziaria, avvenuto solo alcuni anni dopo un iniziale mancata convocazione, e comunque a seguito del riconoscimento giurisdizionale della illegittimità della stessa.
Quanto alla "perdita di occasione", il ricorrente riteneva "evidente la lesione del diritto soggettivo dello stesso ad essere promosso ad un grado superiore, atteso che la disciplina contenuta nella L. 395/90 espressamente garantiva l'avanzamento come effetto immediato e diretto di determinati presupposti di fatto quali il decorso del tempo".
Il TAR riteneva però che il ricorrente non avesse fornito una prova esaustiva degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, così come indicati fin dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 500 del 1999, in particolare per la carenza dell'elemento soggettivo della colpa; questa non pareva nella fattispecie riscontrabile, poiché l'annullamento giurisdizionale dell'atto amministrativo, all'origine della vicenda ( che come è noto non costituisce automaticamente fonte di responsabilità civile ), è nella specie derivato da errori non gravi nella interpretazione ed applicazione di disposizioni di legge, la cui opinabilità, in sostanza, non permetterebbe di configurare la responsabilità civile nei confronti del soggetto tardivamente assunto.
L'orientamento testé riassunto veniva contestato dall'appellante, che, muovendo dal ricordato schema aquiliano, ascriveva il pregiudizio ricevuto alla condotta colposa dell'amministrazione ed allegava le altre componenti dell'illecito ( ingiustizia del danno e nesso di causalità ). Sulla stessa linea, la difesa ministeriale ravvisava in sintesi l'assenza di ogni colpa dell'amministrazione nell'aver disposto l'esclusione del candidato sulla base della mera interpretazione letterale delle norme venute in rilievo.
L'appello, ad avviso del Collegio, risultava meritevole di accoglimento; al riguardo asseriva che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ( cfr. sent.n. 500/1999), in materia di risarcibilità degli interessi legittimi, aveva da tempo individuato i presupposti per il risarcimento del danno da responsabilità per illecito aquiliano (art. 2043 cod.civ.), così riassumibili:
- a) accertamento dell'evento dannoso;
- b) carattere "contra ius" del danno;
- c) riferibilità dell'evento ad una condotta dell'amministrazione;
- d) violazione di regole cui l'amministrazione è tenuta ad uniformarsi.
Orbene, sulla base del semplice riepilogo dei fatti accaduti non vi era dubbio che tutti i predetti elementi erano presenti nella fattispecie in esame; la controversia infatti si concentrava sulla sussistenza della colpa nell'applicare due disposizioni che, come sancito nella sentenza del TAR Campania fondante la pretesa in esame ( n. 189/1999 ), regolavano sul punto l'arruolamento del sig. Ma.: l'art. 4 del Regolamento del Corpo degli Agenti di Custodia di cui al R.D. n. 2584/1937 ( mantenuto in vigore dalla L. 359/90 ), dove si prevedeva testualmente che "gli agenti sono reclutati per arruolamento volontario tra gli aspiranti che abbiano i requisiti seguenti: "età non maggiore di 28 e non minore di 20 anni"; ai sensi di tale norma veniva respinta la domanda di arruolamento dell'interessato; l'art. 1 L. 359/90 posto dalla sentenza a base dell'accoglimento del ricorso, che dispone l'applicazione, in quanto compatibili, delle norme relative agli impiegati civili dello Stato anche agli agenti dì custodia.
Tra i principi generali per l'accesso al pubblico impiego va, in effetti, annoverato quello per cui i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del bando concorsuale.
Sulla scorta peraltro di altro precedente in materia, riteneva la Sezione che nel caso in esame l'erroneità dell'applicazione normativa, accertata dal TAR nella precedente sentenza, presentasse carattere di sufficiente gravità.
Ciò in considerazione sia del carattere basilare e generalizzato del principio dell'ordinamento amministrativo per cui i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del bando concorsuale, sia del rilievo che l'applicabilità al reclutamento degli agenti di custodia delle disposizioni dettate per gli impiegati civili, è previsto del tutto espressamente dalla norma rinviante.
Peraltro l'Amministrazione, oltre ad aver ignorato ben due elementi normativi, che da sempre presiedono il reclutamento pubblico, optava per una interpretazione restrittiva ( ed escludendo il candidato Ma. ) che avrebbe poi potuto sempre adottare al termine della procedura concorsuale, in sede approvativa delle sue risultanze, senza precludere "ab initio" e definitivamente la partecipazione dell'interessato alla selezione. L'interpretazione accolta dal TAR, invece, non convinceva poiché sostanzialmente negava la responsabilità aquiliana non riconoscendo alcuna gravità in un'attività ermeneutica errata che tuttavia (per le ragioni sopra evidenziate) si presentava alquanto elementare, sia alla luce della esperienza amministrativa acquisita nella reiterazione delle procedure concorsuali precedenti, sia considerando che il quadro normativo in questione non presentava comunque caratteri di grande complessità, sia infine valutata la qualificazione professionale richiesta ai responsabili del procedimento.
Al contrario, la tesi accolta dal primo giudice fondava espressamente e unicamente la esclusione di colpa sul fatto che l'amministrazione si era limitata all'applicazione letterale della norma, che è comportamento certamente ammissibile e scusabile, ma nel soggetto non chiamato ad un determinato livello di professionalità amministrativa: ed invero la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l'esclusione di responsabilità, in caso di colpa lieve, è affermabile solo in presenza di problemi interpretativi di speciale difficoltà, e non può riferirsi alla mera attività di interpretazione di norme giuridiche (CGA, n. 731/2008).
Al di fuori di tali ipotesi speciali, infine, era da considerare che l'esclusione della responsabilità precludeva l'effetto ripristinatorio del giudicato di annullamento, vanificando ogni tutela dalla estromissione da quella procedura alla quale non era più possibile partecipare nonostante il suo annullamento.
Il conseguente riconoscimento dei danni comportava quindi la precisazione di titoli ed importo.
Doveva anzitutto escludersi il lucro cessante ( non risultando che dall'atto illegittimo fosse derivata la perdita di un guadagno in atto ) ed anche il danno emergente, poiché anche in caso di ammissione non era assolutamente certo il superamento delle prove; per la stessa ragione, risiedente nella mancata prestazione del servizio, il danno non poteva consistere nella corresponsione della retribuzione prevista.
Questi ultimi rilievi, tuttavia, non impedivano il riconoscimento della c.d. perdita di "chance", dovendosi ammettere che ove avesse partecipato alle prove il candidato avrebbe avuto comunque probabilità di superarle (cfr. Cons. di Stato, sez. IV,n. 2678/2008) e quindi di essere arruolato prima di quanto poi avvenuto solo in esecuzione della sentenza (sulla necessità di un adeguato grado di certezza a fondamento della domanda di risarcimento v., fra le altre, Cons. di Stato, sez. V, n. 6797/n. 2010).
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