DI STEFANIA SQUEO
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Conclusioni dell'Avvocato Generale Nils Wahl, presentate il 10 aprile 2014, alla Corte di Giustizia UE: può iscriversi all'albo degli avvocati in Italia anche chi consegue il titolo in altro Stato membro

Riporto un interessante spunto sul concetto di "abuso del diritto" emerso recentemente nel particolare ambito dell'iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti da parte di coloro che conseguono il titolo in altro Paese membro diverso da quello Italiano.

Quest'Istituto, dell'abuso del diritto, è conosciuto, per quanto riguarda l'Ordinamento giuridico italiano, nel diverso ambito del diritto privato.

È noto che chi esercita un diritto soggettivo, ancorchè ciò possa essere causa della frustrazione o della lesione degli interessi di altri soggetti, non è tenuto a ristorare costoro per gli eventuali pregiudizi che il corretto esercizio di tale diritto possa aver eventualmente provocato (qui iure suo utitur neminem laedit).

Ricorre tale figura allorchè il titolare del diritto si avvale delle facoltà e dei poteri che gli sono concessi non per perseguire l'interesse che propriamente forma oggetto del diritto soggettivo, per di più meritevole di tutela, ma per realizzare finalità ulteriori, eccedenti l'ambito dell'interesse tutelato dal diritto.

Ancora oggi non è pacifico tra gli interpreti del diritto se tale principio abbia carattere generale oppure debba applicarsi soltanto ove previsto dalla legge, la quale infatti è intervenuta nelle ipotesi di maggior rilievo (ad es. art.833, 844, 1175 c.c. ecc.), a temperare con criteri di socialità e di solidarietà l'esercizio del diritto.

In mancanza di disposizione legislativa pare pericoloso affidare al Giudice poteri discrezionali nella individuazione, caso per caso, di discutibili confini di liceità nell'uso "normale" del diritto.

Ciò pregiudicherebbe, in generale e a maggior ragione in ambito comunitario, l'esigenza di certezza, fondamentale nei vari Ordinamenti giuridici.

Solo ciò dovrebbe indurre a ritenere inoperante, ad avviso di chi scrive, lo strumento dell'abuso del diritto in ipotesi diverse da quelle in cui il medesimo è considerato, soprattutto in ambiti particolari, come quelli che riguardano l'intera Comunità Europea e una professione non facile come quella dell'avvocatura.

Qui di seguito il testo delle conclusioni dell'Avvocato Generale:

"(…)

83. Con la prima questione, il CNF chiede in sostanza se l'art.3 della direttiva 98/5 osti alla prassi di uno Stato membro di rifiutare, con la motivazione dell'abuso del diritto, l'iscrizione all'albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati stabiliti, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro stato membro, ritornino nello Stato membro precedente (in prosieguo: la <

>).

 84. Secondo una costante giurisprudenza,  il diritto dell'Unione non può essere invocato a fini abusivi o fraudolenti [65]. Tuttavia, la constatazione dell'esistenza di un abuso richiede, in primo luogo, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che,  nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell'Unione, l'obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto. Essa richiede, in secondo luogo, un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell'Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento [66].

85. In via di principio, spetta al giudice nazionale accertare l'esistenza dei suddetti due elementi, la cui prova deve essere prodotta conformemente alla normativa nazionale, a condizione che l'efficacia del diritto dell'Unione non ne risulti compromessa [67]. In particolare, i giudici nazionali non possono, nel valutare l'esercizio di un diritto derivante da una disposizione dell'Unione, modificare il contenuto di detta disposizione né compromettere gli obiettivi da essa perseguiti [68].

86. Tuttavia nel presente procedimento, è abbastanza evidente che una prassi come quella nazionale in questione rischia di pregiudicare, nello Stato membro in cui è adottata, il concreto funzionamento del sistema creato dalla direttiva 98/5, e quindi di compromettere seriamente gli obiettivi perseguiti da tale strumento giuridico.

87. infatti, l'articolo1 della direttiva 98/5 enuncia che lo scopo di tale direttiva è di <>. E quindi, come hanno correttamente osservato i governi polacco e rumeno, la prassi nazionale in questione equivale in sostanza a trattare come condotta abusiva ciò che, al contrario, costituisce proprio una delle condotte che il legislatore dell'Unione ha voluto consentire. Parafrasando i rilievi formulati dalla Corte in merito alla direttiva 89/48 sul riconoscimento dei diplomi [69], direi che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale è inerente all'esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai trattati dell'Unione [70].

88. A tal riguardo, non può essere attribuita alcuna importanza al fatto che l'avvocato sia un cittadino dello Stato membro ospitante, o al fatto che egli possa aver scelto di ottenere il titolo professionale al fine di approfittare di una normativa più favorevole o, infine, al fatto che egli presenti la domanda di iscrizione all'albo poco dopo aver ottenuto il titolo professionale all'estero.

89. Sul  primo punto, osservo che l'art. 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5 definisce <> <>.

Analogamente, l'art.2 della direttiva 98/5 dispone che <<[gl]i avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all'art.5 [della stessa direttiva] in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine>> [71].

90. Non vi è alcuna indicazione, pertanto, che il legislatore dell'Unione abbia voluto consentire agli Stati membri di attuare discriminazioni alla rovescia escludendo i propri cittadini dai diritti creati dalla direttiva 98/5 [72]. Inoltre, ciò sembrerebbe poco compatibile con l'obiettivo di creare un mercato interno.

91. Infatti, come ha dichiarato la Corte, un cittadino dell'Unione non può essere privato della possibilità di avvalersi delle libertà garantite dai trattati dell'Unione solo perché ha inteso approfittare di una normativa favorevole in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede [73]. Ciò mi porta al secondo punto.

92. A tal riguardo, sulla base di una giurisprudenza consolidata, ritengo che il solo fatto che un cittadino scelga di acquisire un titolo professionale in un altro Stato membro allo scopo di beneficiare di una normativa più favorevole non sia sufficiente, di per sé, a costituire un abuso del diritto [74].

93. Infine, sul terzo punto, vorrei ricordare che la Corte ha chiarito che il legislatore dell'Unione, con l'articolo 3 della direttiva 98/5, ha realizzato la completa armonizzazione dei requisiti preliminari richiesti ai fini dell'esercizio del diritto conferito. Pertanto, la presentazione all'autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l'autorità competente dello Stato membro di origine è l'unico requisito cui può essere subordinata l'iscrizione dell'interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest'ultimo Stato membro col suo titolo professionale di origine [75].

94. Di conseguenza, la Corte ha statuito che la direttiva 98/5 non consente che l'iscrizione di un avvocato presso l'autorità competente dello Stato membro ospitante possa essere subordinata ad ulteriori condizioni, come ad esempio un colloquio inteso ad accertare la padronanza della lingua [76]. Aggiungerei che, per la stessa ragione, la direttiva 98/5 non consente che si possa subordinare tale iscrizione allo svolgimento di un determinato periodo di pratica o di attività come avvocato nello Stato membro di origine [77]. Dopo tutto, se non è richiesta alcuna precedente esperienza per esercitare, ad esempio, come <> in Spagna, perché dovrebbe richiedersi una tale esperienza per esercitare con il medesimo titolo professionale (<>) in un altro Stato membro?

95. Ciò detto, è appena il caso di aggiungere che, qualora le autorità dello Stato membro ospitante accertino che, in un caso specifico, si verificano le due condizioni menzionate al precedente paragrafo 84, non è loro precluso di respingere una domanda in ragione di un abuso del diritto. In effetti, vi possono essere particolari elementi, in alcuni casi specifici, che danno adito a un legittimo sospetto di condotte fraudolente. In tali casi specifici (e, come può ritenersi, relativamente poco frequenti), prima di concedere l'iscrizione può essere ammessa un'indagine più approfondita sulla possibile esistenza di condotte abusive. In tale contesto, le autorità dello Stato membro ospitante possono anche, ai sensi dell'art.13 della direttiva 98/5, chiedere la collaborazione delle autorità dello Stato membro di origine [78]. Qualora le autorità dello Stato membro ospitante raccolgano prove inequivocabili del fatto che il richiedente ha ottenuto il titolo professionale nello Stato membro di origine con mezzi fraudolenti o illegali (ad esempio, contraffazione, corruzione o dichiarazioni false), esse potrebbero rifiutare l'iscrizione a causa di un abuso del diritto.

96. Propongo pertanto alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che l'art. 3 della direttiva 98/5 osta alla prassi di uno Stato membro di rifiutare, con la motivazione dell'abuso del diritto, l'iscrizione all'albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati stabiliti, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro Stato membro, ritornino nello Stato membro precedente.

(…)".

Stefania Squeo

Mediatore e praticante avvocato abilitata

Foro Milano

[1] Corte Cost., sent. n.3 del 14 gennaio 2010

[65] V. sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, Racc.pag.I-1609, punto 68 e giurisprudenza ivi citata)

[66] V. sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C-110/99, Racc.pag.I-11569, punti 52 e 53)

[67] Ibidem, punto 54

[68] Sentenza del 12 maggio 1998, Kefalas e a. (C-367/96, Racc.pag. I-2843, punto 22)

[69] Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionino formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag.16)

[70] Sentenza del 23 ottobre 2008, Commissione/Spagna (C-286/06, Racc.pag.I-8025, punto 72)

[71] In entrambe le citazioni corsivo

[72] V., per analogia, sentenza del 31 marzo 1993, Kraus (C-19/92, Racc.pag.I-1663,  punti 15 e 16)

[73] Sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, Racc.pag.I-7995,  punto 36 e giurisprudenza ivi citata)

[74] Ibidem, punto 37

[75] Sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, (C-506/04, Racc.pag.I-8613, punti 66 e 67)

[76] Ibidem, punto 70

[77] V. sentenza del 22 dicembre 2010, Koller (C-118/09, Racc.pag.I-13627,  punti 34 e 40). V. anche, per analogia, sentenza del 9 marzo 1999, Centros (C-212/97, Racc.pag.I-1459, punto 29)

[78] Ai sensi della parte pertinente all'art.13, <<[a]llo scopo di facilitare l'applicazione della presente direttiva ed evitare che le sue disposizioni siano eluse al solo scopo di sottrarsi all'osservanza della normativa vigente nello Stato membro ospitante, le autorità competenti di questo e dello Stato membro d'origine collaborano strettamente e si accordano reciproca assistenza>>


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