Avv.Michele Esmanech - studiolegale@esmanech.it
Cosa accade se fra conviventi ci si presta danaro e poi la convivenza cessa? L'ex convivente che ha "prestato" soldi all'altro può chiederne la restituzione? E cosa succede se il convivente, che ha ricevuto danaro, sostiene che non si è trattato di un prestito ma di una donazione? Insomma come deve essere ripartito l'onere della prova?
A queste domande ha dato risposta la Suprema Corte, con sentenza n. 9864 del 7 maggio 2014, affrontando il caso di una coppia di conviventi more uxorio la cui unione era finita dopo una lunga convivenza, nel corso della quale, la donna aveva prestato denaro al suo compagno. I due ex conviventi si sono dati battaglia sotto molti fronti, ma principalmente erano in lite per la restituzione di alcune somme di danaro che lei aveva affermato di aver prestato a lui. L'ex compagno, però, non voleva saperne di restituire quei soldi ed aveva dichiarato che gli importi ricevuti non erano stati "prestati" trattandosi di vere e proprie "donazioni", determinate dal desiderio di aiutarlo in un momento contingente di difficoltà. I giudici di primo e secondo grado gli davano ragione, sull'assunto che le attribuzioni patrimoniali avessero "una componente che faceva leva sull'affetto e la solidarietà familiare" (Vedi la guida legale sui prestiti tra conviventi), al fine di far funzionare meglio il ménage e che tale finalità solidaristica imponeva alla convivente la dimostrazione che il pagamento delle somme di denaro fosse da ritenere un prestito con indizi chiari, precisi e concordanti, cosa non avvenuta.Secondo la ricorrente, invece, esisteva a fondamento dei ripetuti prestiti, un vero contratto di mutuo, non potendo, i versamenti di denaro, costituire un'obbligazione naturale né una donazione di modico valore, imponendo quest'ultima l'uso della forma scritta.
Sul punto, dal momento che, come recita il Codice Civile (art.782), la donazione deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità, fatte salve le donazioni di modico valore (art.783 Codice Civile), quando hanno per oggetto beni mobili, per le quali è sufficiente la traditio anche in assenza dell' atto pubblico, la S.C. smentiva la tesi della ricorrente ribadendo che sarebbe stato onere della stessa dimostrare in sede di merito il carattere non modico dei versamenti e la diversa natura delle elargizioni effettuate in costanza di convivenza. In ottemperanza al principio dell'onere della prova, spetta al prestatore, infatti, dimostrare che tali somme fossero state dei prestiti (e quindi ripetibili); mentre spetta al ricevente dimostrare che tali somme fossero, invero, delle donazioni di modico valore, che si sarebbero perfezionate con la semplice consegna del bene, da un soggetto, all'altro. Ai fini della prova, ha poca importanza, di per sé, la circostanza che tali somme fossero state elargite con più singoli versamenti, invece di essere consegnate in unica soluzione, dal momento che, in ogni caso, spetta al libero apprezzamento del giudice di merito valutare l'onerosità delle singole elargizioni, rapportata al patrimonio del donante.
Quanto all'esistenza del contratto di mutuo, escludendo il valore di prova legale dell'interrogatorio formale della stessa ricorrente che, ove ammissibile, può costituire "mero indizio soggetto alla libera valutazione del giudice di merito", la Cassazione ribadiva il principio secondo il quale "l'attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è, ai sensi dell'art. 2697, primo comma, cod. civ., tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione; l'esistenza di un contratto di mutuo, infatti, non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (che, ben potendo avvenire per svariate ragioni, non vale di per sé a fondare una richiesta di restituzione), essendo l'attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa". Né vale a invertire l'onere della prova, "la circostanza che il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall'attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo", restando pertanto a carico dell'attore dimostrare "che la consegna del denaro è avvenuta in base ad un titolo (mutuo) che ne imponga la restituzione". Su questi principi la Corte rigettava la domanda della ricorrente, la quale si è vista, pertanto, negare il diritto al recupero delle somme prestate. Una maggiore cautela, magari facendo transitare il denaro attraverso strumenti tracciabili (come ad es. il bonifico bancario con esplicita causale) o formalizzando il prestito con una scrittura privata, avrebbe prodotto un risultato diverso (v. Cass. n. 19304/2013, in guida legale sui prestiti tra marito e moglie), La vicenda, in sostanza, mette in luce come talvolta anche nelle situazioni familiari è importante che le parti agiscano con la dovuta cautela, premunendosi di adeguate prove che potrebbero tornare certamente utili in un futuro contenzioso. Del resto, come scriveva Jean-Jacques Barthélemy: "Di tutte le qualità dell'anima, la più eminente è la saggezza, la più utile la prudenza".
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