In sede di liquidazione, il criterio da seguire per gli usi civici gravanti su terreni privati che nel corso del tempo sono diventati edificabili è quello del valore di mercato e non quello dei diritti.
Così ha stabilito il Tar del Lazio, sezione di Latina, nella sentenza n. 306 dell'11 aprile 2014, annullando la deliberazione della giunta regionale laziale che provvedeva alla nomina di un commissario ad acta per annullare la delibera comunale (nella specie, il Comune di Cori) di approvazione del regolamento di liquidazione dei diritti di uso civico su terre private. La vicenda, portata avanti sin dal 2006, aveva visto l'amministrazione comunale corese deliberare che al fine di sgravare i fondi privati (per lo più ricadenti nel comune di Cisterna) dai vecchi diritti di uso collettivo, la liquidazione doveva tenere conto del valore venale dei terreni, sulla base della sopravvenuta destinazione edificatoria degli stessi. La regione Lazio, invece, sollecitata dall'altro comune, riteneva che il regolamento comunale corese fosse contrario ai principi disposti dalla legge regionale n. 6/2005 e che perciò per la liquidazione si dovesse tenere conto "in via esclusiva del valore dei diritti (di uso civico) estinti per effetto di essa", ovvero in misura notevolmente ridotta. Il comune di Cori impugnava, quindi, la delibera regionale e il Tar dopo aver sospeso il provvedimento, con la sentenza de qua lo annullava, condannando la regione Lazio anche al pagamento delle spese di giudizio. Il giudice amministrativo, riportandosi alla sentenza della Corte Costituzionale n. 83/1996, considerava legittima la disciplina regolamentare dettata dal comune, avallando l'interpretazione dallo stesso operata della l. r. n. 6/2005 in materia di usi civici e, per l'effetto, fondato il ricorso, sancendo, pertanto, che "ai fini della liquidazione degli usi civici gravanti su terreni con destinazione edificatoria deve considerarsi il valore venale di tali terreni (comprensivo, cioè, dell'incremento derivato dall'acquisita vocazione edificatoria) e non già il valore dei diritti estinti".
Così ha stabilito il Tar del Lazio, sezione di Latina, nella sentenza n. 306 dell'11 aprile 2014, annullando la deliberazione della giunta regionale laziale che provvedeva alla nomina di un commissario ad acta per annullare la delibera comunale (nella specie, il Comune di Cori) di approvazione del regolamento di liquidazione dei diritti di uso civico su terre private. La vicenda, portata avanti sin dal 2006, aveva visto l'amministrazione comunale corese deliberare che al fine di sgravare i fondi privati (per lo più ricadenti nel comune di Cisterna) dai vecchi diritti di uso collettivo, la liquidazione doveva tenere conto del valore venale dei terreni, sulla base della sopravvenuta destinazione edificatoria degli stessi. La regione Lazio, invece, sollecitata dall'altro comune, riteneva che il regolamento comunale corese fosse contrario ai principi disposti dalla legge regionale n. 6/2005 e che perciò per la liquidazione si dovesse tenere conto "in via esclusiva del valore dei diritti (di uso civico) estinti per effetto di essa", ovvero in misura notevolmente ridotta. Il comune di Cori impugnava, quindi, la delibera regionale e il Tar dopo aver sospeso il provvedimento, con la sentenza de qua lo annullava, condannando la regione Lazio anche al pagamento delle spese di giudizio. Il giudice amministrativo, riportandosi alla sentenza della Corte Costituzionale n. 83/1996, considerava legittima la disciplina regolamentare dettata dal comune, avallando l'interpretazione dallo stesso operata della l. r. n. 6/2005 in materia di usi civici e, per l'effetto, fondato il ricorso, sancendo, pertanto, che "ai fini della liquidazione degli usi civici gravanti su terreni con destinazione edificatoria deve considerarsi il valore venale di tali terreni (comprensivo, cioè, dell'incremento derivato dall'acquisita vocazione edificatoria) e non già il valore dei diritti estinti".
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