La personalità borderline della madre e il disturbo depressivo del minore, conseguente al negativo legame familiare integrano lo stato di abbandono, anche se la donna trova lavoro, casa e compagno. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12188 del 30 maggio 2014, rigettando il ricorso di una madre avverso la dichiarazione di adottabilità della figlia, confermata sia in primo che in secondo grado a seguito delle risultanze delle consulenze tecniche.
Relativamente alla capacità genitoriale della donna, dalla CTU emergeva infatti che la stessa "non presentava alcun requisito minimo di funzioni genitoriali adeguate, risultava caotica e inadeguata, con scarsa cura di sé, su un registro di funzionamento psicotico, organizzazione di personalità borderline, con uno stato di inadeguatezza relazionale". Quanto alla figlia, la minore risultava "affetta da un disturbo depressivo e post-traumatico di grado medio da ‘discurria ambientale' - con evidente - ideazione suicidaria attiva collegata alla mancanza di accudimento nonché a sofferente assenza di legami significativi e di una storia comune con la madre".
Pur dando atto, di un certo miglioramento nelle condizioni di vita della donna, che aveva "reperito un lavoro e una casa con un nuovo compagno", i giudici hanno accertato il persistere delle gravissime carenze, ritenute irrecuperabili, soprattutto con riferimento all'incidenza "gravemente negativa sullo sviluppo della minore" e considerando il legame con la madre "addirittura mortifero".
La Suprema Corte, valutate le gravissime carenze affettive e l'incidenza negativa del rapporto con la madre sullo sviluppo psicofisico della minore, considerate, altresì, le manifesti tendenze suicide, ha confermato le statuizioni dei giudici di merito, ritenendo sussistenti, secondo il dettato della l. n. 184/1986, i presupposti per la dichiarazione di adottabilità e rigettando il ricorso.