Con la recente sentenza n. 22707 del 30 maggio scorso, la Suprema Corte di Cassazione ha allargato la "platea" dei pubblici ufficiali ricomprendendovi anche l'"impiegato comunale addetto ad istruire pratiche relative a gare di appalto".
La vicenda, portata all'attenzione della sesta sezione penale della S.C., riguardava un dipendente del comune imputato del reato di cui agli artt. 110 e 318 c.p. per avere ricevuto per sé e per il coniuge una retribuzione non dovuta (consistente nel pagamento di un viaggio e di un soggiorno a Venezia in occasione del carnevale). Condannato in appello, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, l'uomo ricorreva in Cassazione, denunciando la violazione in primo luogo dell'art. 318 c.p., sostenendo che la sua posizione di semplice impiegato comunale con incarichi limitati alla sola preparazione e non alla predisposizione delle determine, le quali venivano poi confezionate ed adottate dall'incaricato con funzioni dirigenziali, escludeva il ruolo di pubblico ufficiale e pertanto l'integrazione del reato di "corruzione per l'esercizio della funzione".
Confermando la sentenza
di condanna e rigettando il ricorso, la Corte ha chiarito che "è pubblico ufficiale non solo colui il quale con la sua attività concorre a formare quella dello Stato o degli altri enti pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere attività avente carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, in quanto anche in questo caso si verifica, attraverso l'attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della pubblica amministrazione. Ne consegue che, per rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, non è indispensabile svolgere un'attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi - nel senso cioè che caratteristica della pubblica funzione debba essere quella della rilevanza esterna dell'attività medesima - giacchè ogni atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nell'ambito del procedimento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi, seppure destinato a produrre effetti interni alla pubblica amministrazione, comporta, in ogni caso, l'attuazione completa e connaturale dei fini dell'ente pubblico e non può essere isolato dall'intero contesto delle funzioni pubbliche".