A causa di un errore di omonimia, determinato dalla trasmissione di dati anagrafici errati alla Procura della Repubblica da parte del Comune, un soggetto ha ricevuto un avviso di garanzia che invece doveva essere indirizzato ad altra persona.
Condannato in primo grado al risarcimento del danno di euro 250.000, notevolmente ridotto in appello ad euro 16.000, tenuto conto del "breve lasso di tempo intercorso tra l'iscrizione del leso nel registro degli indagati e la rettifica operata dalla Procura e della natura dei reati che gli erano stati contestati", il Comune ricorreva in Cassazione denunciando la mancanza della prova della sussistenza del nesso di causalità tra il fatto contestato e il danno psicofisico lamentato, poiché tratta unicamente dalla disposta CTU e non da certificazione medica prodotta dal danneggiato.
La Cassazione, con ordinanza n. 11814 del 27 maggio scorso, ha confermato il comportamento colposo del Comune e la condanna al risarcimento del danno per le lesioni psicofisiche causate alla vittima dell'errore.
In particolare, ha statuito la Suprema Corte, la ricorrenza del nesso di causalità fra il comportamento colposo del Comune ed il danno lamentato dalla vittima ben poteva essere provata "attraverso l'espletamento della ctu, atteso che tale mezzo di indagine è tipicamente volto a soccorrere il giudicante nell'accertamento di fatti che richiedano la conoscenza di specifici dati tecnici (fra i quali indubbiamente rientrano gli accertamenti concernenti l'aggravamento di una pregressa malattia e le cause o le concause che lo abbiano provocato)". Per questi motivi, condividendo le conclusioni della Corte territoriale, considerato che "l'adesione alle conclusioni assunte dal CTU in ordine alla ricorrenza del nesso eziologico non contrasta con l'affermazione dell'utilità dell'indagine al fine dell'acquisizione delle cognizioni tecniche necessarie alla valutazione del danno", la S.C. ha rigettato il ricorso.