L'INCREDIBILE IMBROGLIO DELLA "DEMOCRAZIA"
Da secoli, ormai, ed in modo consuetudinario, si definisce democratico quel sistema politico che prevede la consultazione popolare mediante elezioni. Con le elezioni, infatti, il popolo può designare alcuni suoi membri perché si occupino, in nome di tutti, di elaborare - e far applicare - le deliberazioni necessarie alla gestione ed alla tutela del gruppo sociale.
Questa designazione, peraltro, realizza una situazione che è esattamente all'opposto di quella che pretenderebbe il "potere del popolo". A ben vedere, non vi è atto più anti-democratico del voto.
La votazione, infatti, è il gesto con il quale il δέμος (inteso come l'insieme dei cittadini), si spossessa del χρατòς e lo consegna ad altri.
2.- Come vedremo più oltre in dettaglio, non si tratta di un incarico, ma di una vera sostituzione, che cancella il cittadino degradandolo ad oggetto consegnato nelle mani degli eletti. Se nella monarchia assoluta (considerata l'opposto della democrazia), vi è un sovrano che accentra in sé tutti i poteri, nella democrazia, questo è il gruppetto degli eletti. Ma in entrambi i casi, vi è sempre un sovrano: il modello di gestione della cosa pubblica è identico. Sia nella tirannide, sia nella democrazia (così come sopra descritta), il δέμος
La cesura con quest'ultimo è totale. Diverso, nei due casi, è soltanto il modo con il quale è individuato il gestore del potere pubblico, ma non la sua modalità di conduzione, che rimane - comunque - distaccata ed avulsa dal popolo. Il χρατòς, torniamo a sottolinearlo, è trasferito dal popolo a questo gruppo ristretto, che lo gestisce in modo totalmente autonomo e discrezionale ed a volte perfino contrario alla volontà popolare.
3.- Il semplice fatto elettorale, quale momento realizzativo ed esaustivo della "democrazia", costituisce -ad ogni effetto - una delega in bianco (e come tale di per sé improponibile), che riserva in via esclusiva ad alcuni soggetti ciò che appartiene all'insieme dei membri della collettività. Per certi aspetti, anzi, può perfino considerarsi atto costitutivo di un potere aggiuntivo rispetto a quello di cui dispone il singolo cittadino che vota.
L'individuo, infatti, nell'ambito della comunità nella quale si trova, non può gestire sé stesso in totale ed assoluta libertà: deve tener conto dei limiti che gli provengono dalla presenza altrui. I beneficiari della delega elettorale, invece, in quanto essa è priva di contenuti, sono investiti di un potere senza confini, perché totalmente discrezionale e senza controlli. Se, anzi, come è frequente, si abbandonano ad illegalità ed abusi di potere, non possono essere sanzionati perché ciò non è previsto dal sistema politico democratico.
Se nello Stato detto democratico il popolo fosse realmente il titolare e depositario del potere, dovrebbe poter esercitare una direzione ed un controllo su questi delegati. Gli spetterebbe, altresì, la facoltà di congedare e sostituire i delegati indegni, di respingere e correggere deliberazioni sgradite, ovvero anche di fare piazza pulita, nominando ex novo un altro gruppo di delegati. Tutto ciò non gli è invece affatto consentito.
In sostanza, viene riconosciuta al popolo una pseudo-sovranità, che emerge solo nel momento in cui gli si chiede di trasferirla ad altri. Ad un ristretto numero di persone che, nella pratica, possono essere influenzate, guidate, inibite, dai poteri esistenti nella società (religioso, economico, od altro). Non si riscontrano, nella vita politica, altri momenti di pseudo-sovranità popolare: né prima, né dopo il voto.
4.- I movimenti di piazza non costituiscono espressione di sovranità, ma, al contrario, ne definiscono l'assenza. E le istanze e le proposte di legge presentate dal popolo, vengono sistematicamente ignorate. Là dove nacque, nell'Atene di Pericle, la democrazia così concepita poteva assumere l'effettiva valenza di un "potere del popolo". Ma il contesto era ben diverso: una microstruttura che rendeva le votazioni quasi una nomina di amministratore condominiale, con un controllo, stretto ed immediato, degli eletti.
Trasferire questo modello ad una realtà allargata, significa renderlo "indiretto", cioè truccare le carte, poiché la pseudo-delega che si rende necessaria contraddice, annullandolo, il suo teorico contenuto "demo-cratico".
5.- Incidentalmente, questa contrapposizione tra δέμος e χρατòς, ha dato origine ad una miriade di analisi e di studi, nonché ad infinite contrapposizioni pratiche per affermare, individuare e definire soddisfacentemente l' eguaglianza fra gli esseri umani, sul piano sostanziale e non solo formale. Nel suo famoso proclama del 18 brumaio, Napoleone cambiò drasticamente il motto della Rivoluzione, da "libertà, eguaglianza, fraternità" in: "libertà, eguaglianza, proprietà", a voler intendere che la proprietà è presidio fondamentale della libertà, nel senso che solo il proprietario è libero. Una affermazione, in realtà, fortemente ambigua e dissonante dallo spirito che animò la Rivoluzione, poiché se ne deriva che chi più possiede, più è libero. In tal modo, il concetto di libertà viene in qualche modo tradotto, da principio assoluto, in dato quantitativo, rendendolo così del tutto contrastante con il principio dell'eguaglianza, che Napoleone vanamente e vuotamente ripete, avendo accostato elementi incompatibili: nella sua formulazione, infatti, l'eguaglianza non è affatto accostabile a quel concetto di libertà, in quanto la libertà ha la sua base nell'eguaglianza. L'eguaglianza significa un identico potenziale di accesso ai beni della vita, alle conoscenze, alla salute, al cibo per vivere, al lavoro, (inteso come espressione della personalità), senza le costrizioni derivanti da una squilibrata appropriazione privata delle risorse. Non è nell'appropriazione delle risorse che si esprime l'eguaglianza, bensì nella eguale possibilità per tutti di accedervi.
6.- Si può altresì osservare che sottoporsi ad un padrone (tale dovendosi definire chi viene ad avere il potere di stabilire le regole del proprio comportamento e le modalità del vivere, la quantità ed uso dei propri beni, gestire i propri soldi e risparmi, prescrivere come giudicare e perfino quale debba essere il contenuto degli orientamenti morali ed etici, come nell'aborto, procreazione assistita, fine vita, ecc.), è decisione strettamente individuale, soggettiva e personale, che stride insanabilmente con il concetto di "maggioranza". In linea di principio astratto, quindi il voto dovrebbe costituire una scelta valida solo se operata dall'unanimità dei membri della collettività. Al proposito, per miglior chiarimento concettuale, è lecito il parallelo con la vendita di un bene in comunione fra più soggetti. In questa fattispecie, vi è un diritto individuale, una titolarità del diritto di proprietà che fa capo ad ognuno dei proprietari, ed una situazione di fatto (il bene unico) che unisce tra loro i comproprietari. In tale situazione, per realizzare la vendita del bene comune, è necessaria la volontà concorde di tutti i proprietari. Come nel caso sopra esposto, nel quale la collettività dei proprietari non può disporre a maggioranza del diritto facente capo ai singoli proprietari. Così dunque dovrebbe essere nell'ipotesi del voto politico. Ed anzi, addirittura a maggior ragione in quanto, in tal caso, la cessione di titolarità non riguarda un diritto su un semplice oggetto, bensì il più prezioso dei beni che fanno capo all'essere umano: la propria libertà di autodeterminazione. Queste considerazioni elementari consentono anche di valutare quanto scarsamente accettabile si presenti il caso (non infrequente) nel quale non la totalità, ma neppure la maggioranza dei cittadini vada a votare. Che senso hanno - in tal caso - le elezioni, se solo una parte dei membri della collettività accetta di "delegare" ?
7.- Connesso poi al sistema dei partiti, il fatto elettorale viene a formare quella che è stata definita correttamente una "casta", una congrega autoreferenziale di politicanti di mestiere, che si autogratificano in modo indecente con i più esagerati privilegi (mentre a chi riceve un incarico, non può, ovviamente, spettare di stabilirne egli stesso i contenuti, i modi di esecuzione e anche il compenso). Di questo cataplasma politico diventa poi praticamente impossibile sbarazzarsi in quanto tutta la vita politica del Paese passa attraverso i gestori di questa deriva: i partiti stessi. I partiti si pongono di fronte all'elettorato come i custodi e difensori di una certa ideologia che altro non è se non la deformazione pratica di una qualche idea politica. In realtà, per governare, non occorrono ideologie, cioè soluzioni precostituite per tutti i problemi concreti. Non esiste infatti, e non può esistere, una unica chiave di lettura per tutti i problemi che si formano nella multiforme e complessa realtà odierna.
Come si constata, comunque, il sistema definito "democratico" è totalmente affine a quello classificato - con orrore - come tirannico. Anche in quest'ultimo caso, il popolo non può esercitare alcun controllo sul potere pubblico, non è in grado di indirizzarne le decisioni, non ha la possibilità di allontanare il despota, senza dover ricorrere ad eventi traumatici come le rivoluzioni. Tra il regime di un Luigi XIV, per intenderci, ed un sistema "democratico" odierno, non vi è alcuna differenza sotto il profilo della gestione del potere pubblico. In entrambi i casi il potere non appartiene al "popolo", che rimane escluso dalla assunzione delle decisioni che lo riguardano e sulle quali, dopo, non ha alcuna possibilità di interferire.
Consideriamo il fenomeno sotto diverso profilo. Innanzitutto, occorre comprendere l'invenzione del voto, per meglio coglierne il senso.
Votare, deriva da "vovere": offrire in voto, consacrare alla divinità, formulando un voto. Da qui l'espressione "ho fatto voto". Il relativo contenuto semantico riporta dunque ad una espressione di volontà di affidamento, in funzione dell'ottenimento di un risultato, o contropartita. In pratica, votare un candidato, implica l'attesa di una prestazione da parte di questi. Si tratta dunque di una attribuzione funzionale. Come tale, sottintende di per sè stessa, anche la verifica del risultato. Per questo aveva un senso dove nacque: in una piccolissima realtà sociale.
In un contesto diverso, nella società allargata nella quale ciò non è possibile, il voto si snatura e diventa una sorta di atto di fede, un affidamento cieco e totale. Piuttosto anacronistico, trattandosi di affidare a qualcuno la gestione della propria vita e dei propri interessi.
8.- Nella sua essenza, il voto, nella società odierna, diventa l' attribuzione di un potere indeterminato. Cioè, si tratta non del conferimento di un incarico, che comporterebbe una definizione di contenuti, ma di una generica autorizzazione ad agire, una vera licenza che, essendo priva di indicazioni sull'attività da svolgere, è comprensiva anche di una assoluzione preventiva. Ora, è implicito - e perciò non dissociabile dallo stesso concetto - che incaricare comporta invece necessariamente, in primo luogo, stabilire oggetto e limiti dell'incarico e, successivamente, controllarne l'esecuzione.
Altrimenti verrebbe a mancare il presupposto stesso del conferimento, e cioè che l'incaricato faccia ciò che gli è stato chiesto. In sostanza, conferire un potere (il termine conferire vuol dire, significativamente, "portare insieme"), senza poi sorvegliarlo e regolamentarlo, equivale ad armare un esercito e lasciarlo poi senza direttive nè guida. Con il rischio concreto che questa armata possa rivolgersi contro chi l' ha creata.
9.- Un altro aspetto contribuisce a rendere ancora meno democratico il sistema politico "democratico". E' infatti connesso all'essenza del concetto di democrazia, la partecipazione collettiva alle delibere da parte di tutti i soggetti che ne sono coinvolti.
Invece, quando un partito o coalizione ottiene la maggioranza e siede al governo, si constata che decide da solo e, nel far ciò - segue ovviamente i propri specifici orientamenti ed interessi, non quelli che emergono da tutta la collettività.
In pratica, la società viene ad essere governata secondo i criteri e la convenienza di una sola parte di essa. Ora di una, ora dell'altra, a seconda dell'andamento delle elezioni. Ma mai di tutte insieme. Pertanto, in caso di scelte conflittuali, non verranno mai prese decisioni effettivamente corrispondenti all'interesse di tutta la comunità.
10.- Vediamo ora un caso concreto. Esaminiamo cosa succede negli Usa, il "più grande Paese democratico del mondo", come afferma qualcuno. Qui, prima ancora che si tengano le elezioni, rileviamo addirittura l'assenza di un corretto meccanismo elettorale.
Il caso è lucidamente inquadrato dal prof. Chomsky, il quale osserva come lo svolgimento del dibattito preelettorale è controllato, condizionato e guidato dai centri di potere economico che, controllando i media, impediscono l'emergere nei dibattiti, incontri, interviste, dei veri problemi che affliggono la società: l'andamento dell'economia, il costo della vita, il lavoro, la sicurezza sociale. I candidati sono appositamente addestrati ed il popolo, nel suo complesso, rimane estraneo e disinteressato alle dinamiche che dovrebbero essere poste in atto per dare al Paese una guida democratica.
Il voto si orienta così sul candidato che riscuote simpatia, quello con cui si prenderebbe un aperitivo al bar e magari si farebbe una partita a carte. Dei problemi veri non si tratta e quindi non si cercano le persone adatte a risolverli. D'altro canto, rileva ancora Chomsky citando il senatore Madison, la missione originariamente affidata dai "padri costituenti" al costituendo Stato fu esplicitamente quella di "proteggere i benestanti dalla maggioranza". E tale è ancora oggi il modello di riferimento politico degli Usa.
Il popolo è totalmente escluso dall'accesso e addirittura dalla comprensione del fenomeno politico.
11.- Come sottolinea l'economista premio Nobel, Stiglitz, negli Usa "praticamente tutti i senatori e la maggioranza dei rappresentanti alla Camera, appartengono a quella fascia del' 1% dei più ricchi, già quando arrivano. E sono mantenuti al loro posto da questo stesso 1% e sanno che se opereranno a favore del medesimo 1%, saranno premiati allorché lasceranno l'incarico… ecco perché, quando le società farmaceutiche ricevono un regalo da 1000 miliardi di dollari grazie ad una legge che inibisce al governo (che è il maggior acquirente di medicinali), di contrattare sul prezzo ed avere sconti, non ci si può sorprendere."
In effetti, la stessa costituzione di un ampio collegio parlamentare, nell'ideale intento di favorire una rappresentanza più completa possibile della collettività, è cosa priva di senso se preventivamente non si stabiliscono quote di rappresentanti per professione e per categorie di reddito (ed in proporzione alla loro consistenza numerica).
12.- E veniamo ora all'Italia di oggi, un Paese che nessuno, sul piano dei principi teorici tradizionali, avrebbe definito "dispotico". Purtuttavia, come tutti sanno, pur con queste istituzioni "democratiche", il noto Berlusconi ha fatto approvare da un Parlamento (che, sempre rispettando le regole "democratiche", risulta formato da nominati e/o comprati) una quantità incredibile di "leggi"dirette solo a tutelare i suoi personali interessi. In altra sede, abbiamo sottolineato che questi provvedimenti non possono classificarsi "leggi"in quanto questo termine presuppone ontologicamente dei contenuti riferiti all' interesse comune, quello stesso che legittima il potere di legiferare. Sul piano pratico, peraltro, in assenza di Magistrati e di teorici del Diritto che denunciassero tale vizio essenziale, siffatti pronunciamenti parlamentari hanno assunto la forza e gli effetti di leggi vere e proprie. Interessa rilevare che, così operando, il Nostro ha dato la sua voce personale allo Stato. Le istituzioni "democratiche" hanno consentito - nella pratica - che la volontà della collettività nazionale fosse espressa da una sola persona. Cioè che una sola voce parlasse a nome di tutti i cittadini. Esattamente come succede nel sistema politico definito dispotico o tirannico. Pur essendo tutto ciò in stridente contrasto con i decantati principi "democratici", il Nostro è rimasto al suo posto, fino a quando i burattinai che lo gestivano non hanno deciso di cambiare cavallo. Comunque, non è il sistema politico "democratico" che ha consentito di cacciarlo. Proprio come nel sistema assolutistico-tirannico. Per toglierlo di mezzo, si sono rese necessarie pesantissime pressioni della finanzia internazionale, che ha manovrato lo spread in modo da terrorizzare l'opinione pubblica. Un metodo non propriamente previsto dalle c.d. "istituzioni democratiche" e piuttosto assimilabile (per l'appunto) con i metodi dei congiurati che abbattono il tiranno.
13.- Si constata, in definitiva, che il modello istituzionale "democratico", considerato ancora oggi la migliore forma che un popolo possa dare alla gestione della cosa pubblica, è solo un falso ideologico. E si rende perciò necessario uno sforzo elaborativo ulteriore che conduca ad un sistema migliore. Dati i limiti di questi appunti, ci limitiamo a qualche breve accenno in questa direzione. Si tratta, fondamentalmente, di passare dal concetto di "voto" a quello di "incarico", cioè di assegnazione di una esplicita mansione da svolgere. Tutti i governi, del resto, dovrebbero essere composti da "tecnici", nel senso di persone che sanno quello che sono chiamate a fare. E' pertanto opportuno che il popolo, in luogo di un generico ed improprio "mandato" a degli sconosciuti, raccolti in aggregazioni partitiche influenzate da clan, consorterie e poteri vari, disponga scelte mediante apposite selezioni per merito, doti personali, preparazione ed integrità morale.
Al collegio di specialisti così individuato, e necessariamente ristretto, dovrà essere affidata la realizzazione concreta di un programma da discutere su Internet, ed approvato mediante apposita consultazione popolare.
Ognuno degli elementi del collegio, potrà essere allontanato e sostituito in qualunque momento a giudizio di una giuria di cittadini tirati a sorte. Tutti, singolarmente e collettivamente, risponderanno poi del loro operato e della corretta attuazione del programma. Siffatto modello istituzionale è il solo che consente al popolo il mantenimento e l'esercizio della sua sovranità.
Il radicale cambiamento che esso comporta rispetto al sistema attuale è realizzabile, preferibilmente, mediante la costituzione di un apposito movimento politico che, nell'ambito dell'attuale meccanismo elettorale, ottenga consensi adeguati, nelle forme e con i mezzi più idonei.
di Angelo Casella
1.- Come tutti sanno, democrazia è termine composto da due lemmi greci, δέμος (popolo) e χρατòς (potere), e significa appunto: "potere del popolo".
In generale, si attribuisce perciò la qualifica "democratico" a quell'organismo collettivo (associazione o nazione), le cui decisioni vengono assunte dagli stessi partecipanti e non da uno solo o da una parte di questi. Il meccanismo di formazione della volontà dell'organismo, è riferito unicamente ai soggetti componenti e non ad altre entità o poteri (economico, religioso, ecc.). Su piano concettuale, dunque, vi è la massima chiarezza. Assai meno, sul piano della sua applicazione pratica.
Da secoli, ormai, ed in modo consuetudinario, si definisce democratico quel sistema politico che prevede la consultazione popolare mediante elezioni. Con le elezioni, infatti, il popolo può designare alcuni suoi membri perché si occupino, in nome di tutti, di elaborare - e far applicare - le deliberazioni necessarie alla gestione ed alla tutela del gruppo sociale.
Questa designazione, peraltro, realizza una situazione che è esattamente all'opposto di quella che pretenderebbe il "potere del popolo". A ben vedere, non vi è atto più anti-democratico del voto.
La votazione, infatti, è il gesto con il quale il δέμος (inteso come l'insieme dei cittadini), si spossessa del χρατòς e lo consegna ad altri.
2.- Come vedremo più oltre in dettaglio, non si tratta di un incarico, ma di una vera sostituzione, che cancella il cittadino degradandolo ad oggetto consegnato nelle mani degli eletti. Se nella monarchia assoluta (considerata l'opposto della democrazia), vi è un sovrano che accentra in sé tutti i poteri, nella democrazia, questo è il gruppetto degli eletti. Ma in entrambi i casi, vi è sempre un sovrano: il modello di gestione della cosa pubblica è identico. Sia nella tirannide, sia nella democrazia (così come sopra descritta), il δέμος
La cesura con quest'ultimo è totale. Diverso, nei due casi, è soltanto il modo con il quale è individuato il gestore del potere pubblico, ma non la sua modalità di conduzione, che rimane - comunque - distaccata ed avulsa dal popolo. Il χρατòς, torniamo a sottolinearlo, è trasferito dal popolo a questo gruppo ristretto, che lo gestisce in modo totalmente autonomo e discrezionale ed a volte perfino contrario alla volontà popolare.
3.- Il semplice fatto elettorale, quale momento realizzativo ed esaustivo della "democrazia", costituisce -ad ogni effetto - una delega in bianco (e come tale di per sé improponibile), che riserva in via esclusiva ad alcuni soggetti ciò che appartiene all'insieme dei membri della collettività. Per certi aspetti, anzi, può perfino considerarsi atto costitutivo di un potere aggiuntivo rispetto a quello di cui dispone il singolo cittadino che vota.
L'individuo, infatti, nell'ambito della comunità nella quale si trova, non può gestire sé stesso in totale ed assoluta libertà: deve tener conto dei limiti che gli provengono dalla presenza altrui. I beneficiari della delega elettorale, invece, in quanto essa è priva di contenuti, sono investiti di un potere senza confini, perché totalmente discrezionale e senza controlli. Se, anzi, come è frequente, si abbandonano ad illegalità ed abusi di potere, non possono essere sanzionati perché ciò non è previsto dal sistema politico democratico.
Se nello Stato detto democratico il popolo fosse realmente il titolare e depositario del potere, dovrebbe poter esercitare una direzione ed un controllo su questi delegati. Gli spetterebbe, altresì, la facoltà di congedare e sostituire i delegati indegni, di respingere e correggere deliberazioni sgradite, ovvero anche di fare piazza pulita, nominando ex novo un altro gruppo di delegati. Tutto ciò non gli è invece affatto consentito.
In sostanza, viene riconosciuta al popolo una pseudo-sovranità, che emerge solo nel momento in cui gli si chiede di trasferirla ad altri. Ad un ristretto numero di persone che, nella pratica, possono essere influenzate, guidate, inibite, dai poteri esistenti nella società (religioso, economico, od altro). Non si riscontrano, nella vita politica, altri momenti di pseudo-sovranità popolare: né prima, né dopo il voto.
4.- I movimenti di piazza non costituiscono espressione di sovranità, ma, al contrario, ne definiscono l'assenza. E le istanze e le proposte di legge presentate dal popolo, vengono sistematicamente ignorate. Là dove nacque, nell'Atene di Pericle, la democrazia così concepita poteva assumere l'effettiva valenza di un "potere del popolo". Ma il contesto era ben diverso: una microstruttura che rendeva le votazioni quasi una nomina di amministratore condominiale, con un controllo, stretto ed immediato, degli eletti.
Trasferire questo modello ad una realtà allargata, significa renderlo "indiretto", cioè truccare le carte, poiché la pseudo-delega che si rende necessaria contraddice, annullandolo, il suo teorico contenuto "demo-cratico".
5.- Incidentalmente, questa contrapposizione tra δέμος e χρατòς, ha dato origine ad una miriade di analisi e di studi, nonché ad infinite contrapposizioni pratiche per affermare, individuare e definire soddisfacentemente l' eguaglianza fra gli esseri umani, sul piano sostanziale e non solo formale. Nel suo famoso proclama del 18 brumaio, Napoleone cambiò drasticamente il motto della Rivoluzione, da "libertà, eguaglianza, fraternità" in: "libertà, eguaglianza, proprietà", a voler intendere che la proprietà è presidio fondamentale della libertà, nel senso che solo il proprietario è libero. Una affermazione, in realtà, fortemente ambigua e dissonante dallo spirito che animò la Rivoluzione, poiché se ne deriva che chi più possiede, più è libero. In tal modo, il concetto di libertà viene in qualche modo tradotto, da principio assoluto, in dato quantitativo, rendendolo così del tutto contrastante con il principio dell'eguaglianza, che Napoleone vanamente e vuotamente ripete, avendo accostato elementi incompatibili: nella sua formulazione, infatti, l'eguaglianza non è affatto accostabile a quel concetto di libertà, in quanto la libertà ha la sua base nell'eguaglianza. L'eguaglianza significa un identico potenziale di accesso ai beni della vita, alle conoscenze, alla salute, al cibo per vivere, al lavoro, (inteso come espressione della personalità), senza le costrizioni derivanti da una squilibrata appropriazione privata delle risorse. Non è nell'appropriazione delle risorse che si esprime l'eguaglianza, bensì nella eguale possibilità per tutti di accedervi.
6.- Si può altresì osservare che sottoporsi ad un padrone (tale dovendosi definire chi viene ad avere il potere di stabilire le regole del proprio comportamento e le modalità del vivere, la quantità ed uso dei propri beni, gestire i propri soldi e risparmi, prescrivere come giudicare e perfino quale debba essere il contenuto degli orientamenti morali ed etici, come nell'aborto, procreazione assistita, fine vita, ecc.), è decisione strettamente individuale, soggettiva e personale, che stride insanabilmente con il concetto di "maggioranza". In linea di principio astratto, quindi il voto dovrebbe costituire una scelta valida solo se operata dall'unanimità dei membri della collettività. Al proposito, per miglior chiarimento concettuale, è lecito il parallelo con la vendita di un bene in comunione fra più soggetti. In questa fattispecie, vi è un diritto individuale, una titolarità del diritto di proprietà che fa capo ad ognuno dei proprietari, ed una situazione di fatto (il bene unico) che unisce tra loro i comproprietari. In tale situazione, per realizzare la vendita del bene comune, è necessaria la volontà concorde di tutti i proprietari. Come nel caso sopra esposto, nel quale la collettività dei proprietari non può disporre a maggioranza del diritto facente capo ai singoli proprietari. Così dunque dovrebbe essere nell'ipotesi del voto politico. Ed anzi, addirittura a maggior ragione in quanto, in tal caso, la cessione di titolarità non riguarda un diritto su un semplice oggetto, bensì il più prezioso dei beni che fanno capo all'essere umano: la propria libertà di autodeterminazione. Queste considerazioni elementari consentono anche di valutare quanto scarsamente accettabile si presenti il caso (non infrequente) nel quale non la totalità, ma neppure la maggioranza dei cittadini vada a votare. Che senso hanno - in tal caso - le elezioni, se solo una parte dei membri della collettività accetta di "delegare" ?
7.- Connesso poi al sistema dei partiti, il fatto elettorale viene a formare quella che è stata definita correttamente una "casta", una congrega autoreferenziale di politicanti di mestiere, che si autogratificano in modo indecente con i più esagerati privilegi (mentre a chi riceve un incarico, non può, ovviamente, spettare di stabilirne egli stesso i contenuti, i modi di esecuzione e anche il compenso). Di questo cataplasma politico diventa poi praticamente impossibile sbarazzarsi in quanto tutta la vita politica del Paese passa attraverso i gestori di questa deriva: i partiti stessi. I partiti si pongono di fronte all'elettorato come i custodi e difensori di una certa ideologia che altro non è se non la deformazione pratica di una qualche idea politica. In realtà, per governare, non occorrono ideologie, cioè soluzioni precostituite per tutti i problemi concreti. Non esiste infatti, e non può esistere, una unica chiave di lettura per tutti i problemi che si formano nella multiforme e complessa realtà odierna.
Come si constata, comunque, il sistema definito "democratico" è totalmente affine a quello classificato - con orrore - come tirannico. Anche in quest'ultimo caso, il popolo non può esercitare alcun controllo sul potere pubblico, non è in grado di indirizzarne le decisioni, non ha la possibilità di allontanare il despota, senza dover ricorrere ad eventi traumatici come le rivoluzioni. Tra il regime di un Luigi XIV, per intenderci, ed un sistema "democratico" odierno, non vi è alcuna differenza sotto il profilo della gestione del potere pubblico. In entrambi i casi il potere non appartiene al "popolo", che rimane escluso dalla assunzione delle decisioni che lo riguardano e sulle quali, dopo, non ha alcuna possibilità di interferire.
Consideriamo il fenomeno sotto diverso profilo. Innanzitutto, occorre comprendere l'invenzione del voto, per meglio coglierne il senso.
Votare, deriva da "vovere": offrire in voto, consacrare alla divinità, formulando un voto. Da qui l'espressione "ho fatto voto". Il relativo contenuto semantico riporta dunque ad una espressione di volontà di affidamento, in funzione dell'ottenimento di un risultato, o contropartita. In pratica, votare un candidato, implica l'attesa di una prestazione da parte di questi. Si tratta dunque di una attribuzione funzionale. Come tale, sottintende di per sè stessa, anche la verifica del risultato. Per questo aveva un senso dove nacque: in una piccolissima realtà sociale.
In un contesto diverso, nella società allargata nella quale ciò non è possibile, il voto si snatura e diventa una sorta di atto di fede, un affidamento cieco e totale. Piuttosto anacronistico, trattandosi di affidare a qualcuno la gestione della propria vita e dei propri interessi.
8.- Nella sua essenza, il voto, nella società odierna, diventa l' attribuzione di un potere indeterminato. Cioè, si tratta non del conferimento di un incarico, che comporterebbe una definizione di contenuti, ma di una generica autorizzazione ad agire, una vera licenza che, essendo priva di indicazioni sull'attività da svolgere, è comprensiva anche di una assoluzione preventiva. Ora, è implicito - e perciò non dissociabile dallo stesso concetto - che incaricare comporta invece necessariamente, in primo luogo, stabilire oggetto e limiti dell'incarico e, successivamente, controllarne l'esecuzione.
Altrimenti verrebbe a mancare il presupposto stesso del conferimento, e cioè che l'incaricato faccia ciò che gli è stato chiesto. In sostanza, conferire un potere (il termine conferire vuol dire, significativamente, "portare insieme"), senza poi sorvegliarlo e regolamentarlo, equivale ad armare un esercito e lasciarlo poi senza direttive nè guida. Con il rischio concreto che questa armata possa rivolgersi contro chi l' ha creata.
9.- Un altro aspetto contribuisce a rendere ancora meno democratico il sistema politico "democratico". E' infatti connesso all'essenza del concetto di democrazia, la partecipazione collettiva alle delibere da parte di tutti i soggetti che ne sono coinvolti.
Invece, quando un partito o coalizione ottiene la maggioranza e siede al governo, si constata che decide da solo e, nel far ciò - segue ovviamente i propri specifici orientamenti ed interessi, non quelli che emergono da tutta la collettività.
In pratica, la società viene ad essere governata secondo i criteri e la convenienza di una sola parte di essa. Ora di una, ora dell'altra, a seconda dell'andamento delle elezioni. Ma mai di tutte insieme. Pertanto, in caso di scelte conflittuali, non verranno mai prese decisioni effettivamente corrispondenti all'interesse di tutta la comunità.
10.- Vediamo ora un caso concreto. Esaminiamo cosa succede negli Usa, il "più grande Paese democratico del mondo", come afferma qualcuno. Qui, prima ancora che si tengano le elezioni, rileviamo addirittura l'assenza di un corretto meccanismo elettorale.
Il caso è lucidamente inquadrato dal prof. Chomsky, il quale osserva come lo svolgimento del dibattito preelettorale è controllato, condizionato e guidato dai centri di potere economico che, controllando i media, impediscono l'emergere nei dibattiti, incontri, interviste, dei veri problemi che affliggono la società: l'andamento dell'economia, il costo della vita, il lavoro, la sicurezza sociale. I candidati sono appositamente addestrati ed il popolo, nel suo complesso, rimane estraneo e disinteressato alle dinamiche che dovrebbero essere poste in atto per dare al Paese una guida democratica.
Il voto si orienta così sul candidato che riscuote simpatia, quello con cui si prenderebbe un aperitivo al bar e magari si farebbe una partita a carte. Dei problemi veri non si tratta e quindi non si cercano le persone adatte a risolverli. D'altro canto, rileva ancora Chomsky citando il senatore Madison, la missione originariamente affidata dai "padri costituenti" al costituendo Stato fu esplicitamente quella di "proteggere i benestanti dalla maggioranza". E tale è ancora oggi il modello di riferimento politico degli Usa.
Il popolo è totalmente escluso dall'accesso e addirittura dalla comprensione del fenomeno politico.
11.- Come sottolinea l'economista premio Nobel, Stiglitz, negli Usa "praticamente tutti i senatori e la maggioranza dei rappresentanti alla Camera, appartengono a quella fascia del' 1% dei più ricchi, già quando arrivano. E sono mantenuti al loro posto da questo stesso 1% e sanno che se opereranno a favore del medesimo 1%, saranno premiati allorché lasceranno l'incarico… ecco perché, quando le società farmaceutiche ricevono un regalo da 1000 miliardi di dollari grazie ad una legge che inibisce al governo (che è il maggior acquirente di medicinali), di contrattare sul prezzo ed avere sconti, non ci si può sorprendere."
In effetti, la stessa costituzione di un ampio collegio parlamentare, nell'ideale intento di favorire una rappresentanza più completa possibile della collettività, è cosa priva di senso se preventivamente non si stabiliscono quote di rappresentanti per professione e per categorie di reddito (ed in proporzione alla loro consistenza numerica).
12.- E veniamo ora all'Italia di oggi, un Paese che nessuno, sul piano dei principi teorici tradizionali, avrebbe definito "dispotico". Purtuttavia, come tutti sanno, pur con queste istituzioni "democratiche", il noto Berlusconi ha fatto approvare da un Parlamento (che, sempre rispettando le regole "democratiche", risulta formato da nominati e/o comprati) una quantità incredibile di "leggi"dirette solo a tutelare i suoi personali interessi. In altra sede, abbiamo sottolineato che questi provvedimenti non possono classificarsi "leggi"in quanto questo termine presuppone ontologicamente dei contenuti riferiti all' interesse comune, quello stesso che legittima il potere di legiferare. Sul piano pratico, peraltro, in assenza di Magistrati e di teorici del Diritto che denunciassero tale vizio essenziale, siffatti pronunciamenti parlamentari hanno assunto la forza e gli effetti di leggi vere e proprie. Interessa rilevare che, così operando, il Nostro ha dato la sua voce personale allo Stato. Le istituzioni "democratiche" hanno consentito - nella pratica - che la volontà della collettività nazionale fosse espressa da una sola persona. Cioè che una sola voce parlasse a nome di tutti i cittadini. Esattamente come succede nel sistema politico definito dispotico o tirannico. Pur essendo tutto ciò in stridente contrasto con i decantati principi "democratici", il Nostro è rimasto al suo posto, fino a quando i burattinai che lo gestivano non hanno deciso di cambiare cavallo. Comunque, non è il sistema politico "democratico" che ha consentito di cacciarlo. Proprio come nel sistema assolutistico-tirannico. Per toglierlo di mezzo, si sono rese necessarie pesantissime pressioni della finanzia internazionale, che ha manovrato lo spread in modo da terrorizzare l'opinione pubblica. Un metodo non propriamente previsto dalle c.d. "istituzioni democratiche" e piuttosto assimilabile (per l'appunto) con i metodi dei congiurati che abbattono il tiranno.
13.- Si constata, in definitiva, che il modello istituzionale "democratico", considerato ancora oggi la migliore forma che un popolo possa dare alla gestione della cosa pubblica, è solo un falso ideologico. E si rende perciò necessario uno sforzo elaborativo ulteriore che conduca ad un sistema migliore. Dati i limiti di questi appunti, ci limitiamo a qualche breve accenno in questa direzione. Si tratta, fondamentalmente, di passare dal concetto di "voto" a quello di "incarico", cioè di assegnazione di una esplicita mansione da svolgere. Tutti i governi, del resto, dovrebbero essere composti da "tecnici", nel senso di persone che sanno quello che sono chiamate a fare. E' pertanto opportuno che il popolo, in luogo di un generico ed improprio "mandato" a degli sconosciuti, raccolti in aggregazioni partitiche influenzate da clan, consorterie e poteri vari, disponga scelte mediante apposite selezioni per merito, doti personali, preparazione ed integrità morale.
Al collegio di specialisti così individuato, e necessariamente ristretto, dovrà essere affidata la realizzazione concreta di un programma da discutere su Internet, ed approvato mediante apposita consultazione popolare.
Ognuno degli elementi del collegio, potrà essere allontanato e sostituito in qualunque momento a giudizio di una giuria di cittadini tirati a sorte. Tutti, singolarmente e collettivamente, risponderanno poi del loro operato e della corretta attuazione del programma. Siffatto modello istituzionale è il solo che consente al popolo il mantenimento e l'esercizio della sua sovranità.
Il radicale cambiamento che esso comporta rispetto al sistema attuale è realizzabile, preferibilmente, mediante la costituzione di un apposito movimento politico che, nell'ambito dell'attuale meccanismo elettorale, ottenga consensi adeguati, nelle forme e con i mezzi più idonei.
Angelo Casella
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